Di idee cattive, deliranti o semplicemente sceme ne ho avute parecchie, ma credo che questa le batta tutte.
Un giorno, quando avrò avuto circa 12 anni, ebbi la folgorazione che per rinsaldare la mia traballante (per non dire inesistente) popolarità io sarei diventato “il ragazzo col cappello”. Mi sarei trovato un cappellino qualunque (anche se sottintendevo a me stesso che era una cappellino da baseball, di quelli con visiera) e l’avrei indossato continuamente. La gente, un po’ sconcertata all’inizio, avrebbe poi iniziato a voler bene a quello strano giovanotto. Il fruttivendolo gli avrebbe tirato una mela dicendo “Tieni, ragazzo col cappello, prendi questa e buon pro ti faccia!” e i giovinastri ai giardini e in sala giochi avrebbero avuto un muto rispetto per chi si proponeva con un così audace gesto. Forse addirittura una volta egli avrebbe salvato un bambino che stava finendo sotto un’ambulanza (sì, sotto un’ambulanza…che crudele ironia!) lanciandosi per sottrarlo a una morte crudele; il ragazzo col cappello si sarebbe ferito, e per la prima volta tutti lo avrebbero visto senza cappello, e avrebbero mormorato “allora il ragazzo col cappello è così, senza il cappello…”; se poi fossi morto, avrebbero pianto la mia dipartita e sulla mia bara ci sarebbe stato il suddetto copricapo. Però non ho mai deciso se sarei morto o meno (sì, il resto erano “film che mi ero fatto”).
Poi San Boleto Coccige mi ha messo la mano sulla spalla, mi ha benedetto e ho avuto l’illuminazione che, di tutte le cazzate che potevo fare, questa era una delle più imbecilli. Ed è per questo che nessuno mi conosce come “ragazzo col cappello”. Oh, ma sono sempre in tempo…
(ripensando a questa storia, non posso fare a meno di immaginarmi come Charlie Brown. Good grief…)
Sul proprio diario, le mie compagne di classe delle medie usavano scrivere:
* Ahem * (mi schiarisco la voce per meglio declamare).
San Valentino
la festa di ogni cretino
che crede di essere amato
e invece rimane fregato.
Facciamo che tutti abbiamo detto la nostra sul disprezzo che nutriamo su per una festa così scema come San Valentino, e concentriamoci sul testo: mi ha sempre colpito questa visione così romanzata dell’occasione. Sembra quasi l’estrema sintesi di una commedia romantica.
Adam Sandler organizza tutto per San Valentino con la sua bella promessa sposa: senza scostarsi un ciccinino dai peggiori cliché delle romcom, cena a lume di candela in ristorante esclusivo con vista sulla città, rose rosse, sciampagna e ostriche. E un anello nella tasca della giacca, pronto per scivolare nel bicchiere di lei al momento giusto. Ma lei, Lindsay Lohan, non si presenta manco a cena: è infatti mesi che fa le corna ad Adam Sandler con Rupert Everett, e finge di stare con lui solo perché ci ha i soldi ed esaudisce ogni suo desiderio.
E così si trascina la triste serata del 14 febbraio di Adam, in attesa della bella Lindsay che non arriva. Prima è eccitato, poi inquieto, triste, preoccupato; infine, subodorando qualcosa, si fa prestare il telefono dalla cameriera e riesce a raggiungerla al telefono spacciandosi astutamente per un venditore di vestiti da sposa, e lei non è interessata! Allora non è vero che lo vuole sposare! Il nostro eroe è distrutto, ma ecco che la cameriera di prima, interpretata da una solare Anne Hathaway, gli sussurra qualcosa che gli cambierà la vita: “Quella là non ti merita”. Queste illuminanti parole scuotono Adam, che invita Anne al tavolo a sedersi con lui. Lei sorridente gli ribatte che non può, sta lavorando, ma magari quando stacca… E quando stacca, Adam è lì gaio ad aspettarla, pronto a iniziare una nuova vita col suo angelo salvatore. Fa per abbracciarla, ma arriva Rupert Everett e si prende anche questa. Fine.
(E che diamine, non posso mica uscire dal seminato del Diario delle Medie!)
Non so voi, ma a me il Cartolaio Amico® fa paura. Dev’essere la combinazione di diversi elementi: i baffi mlavagi, gli occhiali bassi con lo sguardo indecifrabile, l’urendo gilé con lo stesso motivo della cravatta, il sorriso stentato, la vaga somiglianza con Nino Manfredi, il modo in cui tiene le penne e la squadra, la mancanza del braccio sinistro, i quaderni levitanti. Non entrerò mai più in cartoleria, se c’è il rischio di incontrare il Cartolaio Amico®.
E’ venerdì, e come sempre si conclude, per noi squallidi impiegatucci, una settimana di lavoro. Eppure, al termine della prima settimana in cui lavorai, appena laureato, all’inizio di ottobre 1994, io tremai. Il fatto è che nessuno mi aveva detto se la settimana di lavoro era dal lunedì al venerdì o dal lunedì al sabato. Cazzo ridete, il contratto metalmeccanico stabilisce che si lavora sei giorni a settimana, è per questo che se Natale cade di sabato molti di noi rimangono con un pugno di mosche, mentre se cade di domenica abbiamo un ricco giorno pagato in più! Mi è sempre sfuggito, tuttavia, con quale gabola si lavori per “solo” cinque giorni, ma meglio così, che diamine. Il sabato mattina ci ho da fare il lungo lento, e ho bisogno di un paio d’ore per correre con calma.
Beh, per tornare al mio aneddoto, ero ragionevolmente certo che il sabato non si sarebbe lavorato, ma non completamente certo, e mi sentivo troppo fesso per chiederlo ai colleghi. Cioè, immaginate uno che vi arriva e vi chiede: “Senti un po’, ma domani si lavora?”. Vi conosco, prendereste un’ora di permesso per andare a procurarvi il catrame e le piume! Io le piume saprei dove prenderle, basta sventrare un cuscino o un piumino, ma il catrame non saprei dove andarlo a comprare. Probabilmente finirei per andare da un cantiere e chiedere a un membro dei Village People: “Mi scusi, dovrei impiumare un tizio che ha chiesto se domani si lavora, non è che mi presta un po’ di catrame? Grazie mille!”.
E quindi, dimostrando rara astuzia, passai il venerdì pomeriggio con le orecchie tese per captare eventuali frammenti di conversazione che dicessero “Buon weekend, ci vediamo lunedì!” o “Mah, è inutile iniziare a fare queste cose adesso, poi dopo due giorni perdiamo il filo” o, viceversa, “Ne parliamo nella riunione di domattina!” o “Forza che domani finisce la settimana e poi abbiamo un ricco giorno di riposo!”. Afferrai qualche frammento del primo tipo e andai a casa sereno. Poi, il giorno dopo, mi alzai alle 6.30 perché dovevo andare a Savona a farmi dare un certificato di un tipo di cui nel tribunale non conoscevano l’esistenza. Ma questa è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta… (putroppo per voi)
Ovvero, un elenco brutale di opere universalmente o quasi ritenute capolavori o autori universalmente o quasi ritenuti genii che a me invece non mi mi piaciano. Il tutto senza motivazioni o quasi, giusto per fare caciara.
Musica
Iniziamo con la musica moderna, o quasi. E’ ben noto che io NCUCDM, ma, cristiddio, i Doors sono quanto di più palloso ci sia sulla faccia della Terra. Più di Finlandia di Sibelius. Se non c’era Morrison a fare il sex symbol maledetto e morire giovane, erano dimenticati da decenni. E i Genesis? Marò, quanto sono inascoltabili, loro e le loro emanazioni! Tutti così turituritù quanto siamo bravi! Per non parlare di quel fesso di Sting, ma chi si crede di essere? Con quella sua vociaccia e la sua faccia da schiaffi? Taccio infine per gli U2, il cui successo planetario proprio non riesco a spiegarmi.
Sono più canonico negli apprezzamenti della musica classica, con due grandi eccezioni: Wagner, che nonostante faccia bum! proprio non mi piace, e Mozart. Con qualche piccola eccezione, trovo Mozart una femminuccia che fa gnegnegnè.
Cinema
Qua ce n’è un po’ per tutti i gusti. Tralasciamo gli stronzetti sperimentatori che scimmiottano Von Trier, anche lui fessacchiotto ma per lo meno con coscienza, perché sono in tanti a pensarla come me. Questi in fondo sono gli unici che mi fanno sbavare dalla rabbia: non dimenticherò l’incazzatura che mi ero preso con Funny Games. Non ho mai sopportato l’espressionismo tedesco, mi addormento solo a pensarci. Più sorprendentemente, perché è più vicino a quella che è la mia sensibilità, trovo noiosissimo anche Akira Kurosawa. Non sono riuscito a finire di vedere quello che molti considerano un gioiello del cinema italiano, Berlinguer ti voglio bene di Bertolucci con Benigni. E, pur apprezzando in generale Pupi Avati, trovo che il titolo de La casa dalle finestre che ridono sia la cosa migliore di un film per il resto proprio scemo. Che altro? Ah, sì, non vado pazzo per Chaplin, ma lo sopporto; Truffaut e tutta la Nouvelle Vague li ritengo enormemente sopravvalutati; spegnerei volentieri il Rocky Horror Picture Show a metà e per concludere con cose più recenti ho trovato Avatar e Inception due minchiate galattiche. Puff!
Letteratura
In letteratura sono un po’ meno iconoclasta. Cioè, ci sono un sacco di scrittori ritenuti importantissimi dalla critica di cui non me ne può fregare di meno: che so, per citare a caso, Musil, Virgilio, Moravia. La differenza rispetto alle altre forme di comunicazione è che ci vuole un sacco di tempo per leggere i libri, ed è necessario operare scelte. Quindi, non è che non mi piaccia Musil, è che proprio non lo so, non ho ancora avuto uno stimolo abbastanza forte per dedicare sei mesi della mia vita a leggerlo. Eppure qualche autore considerato “cult” che a me fa cagare c’è: Pennac, innanzitutto, come romanziere. Lo tollero nei suoi saggi/pamphlet, ma trovo che come narratore sia talmente tronfio e pieno di sé da risultare insopportabile. Anche Baricco, ma qui è più la persona che lo scrittore a essere antipatico. E poi…ehm, Douglas Adams. Forse è la nausea da nerd-citazione, forse il fatto che l’ho letto tutto insieme e mi è risultato proprio stucchevole, ma non ne posso più.
Televisione
Guardo così poca televisione (per non dire nessuna televisione!) che il mio giudizio non ha molto senso. Eppure, non ho mai tollerato Serena Dandini e la banda di Avanzi, Tunnel eccetera. Persino Corrado Guzzanti smette di farmi ridere dopo una decina di secondi, ma è proprio la Dandini che mi è antipaticissima. Trovo Renzo Arbore, più volte chiamato il Salvatore della TV, spocchioso e sopravvalutato. E i Gialappa’s hanno detto tutto quello che avevano da dire già dal 1994. Beh, ci sarà una ragione se non guardo tv, no?
Cartoni animati
(parliamo di serie tv “classiche” , per così dire)
Le serie animate giapponesi anni ’70-’80 mi piacciono molto, quindi posso ritenermi di bocca buona. Eppure, qualche mostro sacro che non mi va giù c’è, eccome: innanzitutto Gundam. Gundam ha due difetti macroscopici: si prende troppo sul serio, e non è né carne né pesce tra l’essere una serie di SF seria e una serie robotica per bambini. Il risultato è che è incoerente, contraddittoria nello stile e faticosa da seguire. Lady Oscar! Ma qui distinguiamo, suvvia. La seconda metà, quella diretta da Osamu Dezaki, è un capolavoro. La prima metà, quella che ricalca maggiormente il manga, quella detta “i capricci di Maria Antonietta” è proprio noiosa, e solo la meravigliosa qualità grafica ne salva la visione. Capitan Harlock. Ok, la poesia dello spazio profondo. Ok, l’antieroe dallo spirito libero. Ok, le donne che bruciano come carta. Ma per due, tre, puntate. 48 sono una tortura!
Arti figurative
Ossignur, mi piacciono, cerco di imparare, ma sono tuttora poco preparato…beh, gli impressionisti non mi impressionano un granché. Raffaello non mi impressiona un granché. Dalì non mi impressiona un granché (sì, ho finito i sinonimi, e allora?)
Fumetti
Infine, i fumetti (arbitrariamente separati dalla letteratura). Qua ci ho dovuto pensare parecchio, ma una conseguenza del fatto che i fumetti sono la forma d’espressione che mi piace di più consiste anche nel fatto che non mi vengono in mente “mostri sacri” che proprio non mi vadano giù. Certo, c’è qualche piccola incrinatura tra me e la critica “ufficiale”: trovo Maus di Spiegelman sopravvalutato (e apprezzato soprattutto perché fumetto sull’Olocausto); non amo moltissimo Grant Morrison e Warren Ellis; l’intero movimento Mètal Hurlant francese mi lascia un po’ indifferente, persino Moebius; ritengo che Manara sia il dio delle donnine ma che non sia capace di scrivere due parole e che Crepax sia un fessacchiotto; penso che Magnus sia uno dei migliori disegnatori mai esistiti ma abbia sprecato la sua carriera a disegnare le cazzate di Max Bunker, nonché gli ultimi anni a illustrare minuziosamente un Tex di rara imbecillità; trovo di un’insopportabile antipatia i personaggi di Ai Yazawa. Ma in fondo sono un lettore abbastanza allineato, suvvia.