No, non faccio la cronaca del marzo 2011: vi racconto un po’ di cose interessanti con cui ho avuto a che fare nel 2011, a gruppi di tre, perché il tre fa sempre figo.
Tre Manga
Nodame Cantabile, di Tomoko Ninomiya: non è certo una novità, né in Giappone né tantomeno da noi, ma è un manga proseguito nel 2011 ed è sempre una delle prima cose che leggo quando faccio la spesa di fumetti. Si tratta di un manga per ragazze cresciutelle ambientato nel mondo della musica classica, con molti personaggi memorabili (su tutti, la co-protagonista Nodame) e una trama che continua a essere interessante e mai ripetitiva. Ho apprezzato molto la cesura tra la prima e la seconda parte, una sorta di reset con nuova ambientazione, nuovi personaggi e nuove storie, senza però perdere in freschezza e senza snaturare il tono della narrazione. 16 volumi, in prosecuzione.
Happy!!, di Naoki Urasawa: Urasawa è noto soprattutto per i suoi manga di fantascienza, su tutti 20th century boys che, almeno per i primi dieci volumi, è considerato forse il miglior manga del decennio passato (poi svacca, ahimè, e anche male!). Happy!! è una commedia sportiva melodrammatica (!): l’orfanella adolescente Miyuki deve un sacco di soldi alla yakuza per colpa del fratello, e si rimette a giocare a tennis per guadagnare abbastanza da salvare sé da un destino nelle soapland e i suoi fratellini dall’orfanotrofio. Ciò che rende incredibile questo manga è però che un tema così a rischio di deriva Candy Candy viene sviluppato in forma di commedia, con leggerezza e ironia, senza dimenticare, soprattutto, i cattivi; mai vista una serie di cattivi così ben catterizzati, ognuno spietato e spassoso allo stesso tempo: dalla tennista rivale all’allenatore alcolizzato e corrotto al capo degli yakuza. E poi c’è “la pallina della malvagità”! 8 volumi, in prosecuzione.
I am a hero, di Keigo Hanazawa: solo tre volumi usciti per un manga indefinibile ma folgorante. Inizia come una sorta di dissertazione sul mondo dell’editoria manga e dei mangaka vista dal punto di vista degli autori privi di successo e degli assistenti, ma alla fine del primo volume prende una piega assolutamente inaspettata, che non spoilererò e che conserva nel secondo e terzo volume. Ma sono pronto a giurare che cambierà direzione ancora. E soprattutto, tutto quello che succede, succede davvero o se lo sta immaginando quel folle del protagonista? Al di là di questo, è un manga interessante anche formalmente, data la costruzione delle tavole e delle singole vignette spesso innovativa e con grossi debiti al cinema (ancora di più dei manga normali, sì). E’ probabilmente il manga più originale visto da lungo tempo. 3 volumi, in prosecuzione
Tre libri che probabilmente non avete letto
Il soldato dimenticato, di Guy Sajer: un documento autobiografico di un soldato mezzo tedesco e mezzo francese durante la campagna di Russia, durante la seconda guerra mondiale. A volte, nel condannare il nazismo, si finisce per includervi tutti i tedeschi che hanno combattutto al suo fianco, senza pensare che la retorica e la propaganda possono di fatto piallare le menti. Qui si parla di un ragazzo diciassettenne mandato al fronte dove vede orrori e sofferenze che non avrebbe mai pensato, e il tutto nel nome di un’astratta patria (che non è neanche sua! Lui è francese!): si combatte per la Germania, non per Hitler. Potete pensarlo come la versione, vent’anni dopo, di Niente di nuovo sul fronte occidentale, o forse quella franco-tedesca di Centomila gavette di ghiaccio, ma forse ancora più crudo e spietato nei confronti di chi le guerre le pensa, ma non le fa. Era un libro che mio padre, appassionato di storia, rileggeva spesso. Ora capisco perché.
World War Z di Max Brooks: non sarà una novità il fatto che io sono un otaku degli zombie, ma questo è il primo romanzo che leggo a tema. E, perdiana, l’ho adorato! World War Z, “la guerra mondiale degli zombie”, pone le sue basi nei più classici zombie romeriani, e racconta cosa succede in tutto il mondo, mediante una serie di interviste che si dipanano come racconti in un modo zombificato, ma raccolte dopo che gli zombie sono stati sconfitti (cosa messa in chiaro dalla prima pagina – no spoiler, tranquillo! – e , da quel che mi risulta, veramente inedita! Gli zombie perdono e l’umanità si risolleva!). La cosa paradossale del libro è l’estremo realismo, nel senso che tutto quello che succede è studiato come perfettamente plausibile, con ovviamente una sola eccezione: l’esistenza degli zombi. Segnalo come particolarmente efficaci i capitoli sul “Grande panico” e quelli sulla battaglia contro gli zombi usando le tecniche di guerra moderne (che, ovviamente, si riveleranno inefficaci).
Le mappe dei miei sogni, di Reif Larsen: un libro che piacerà sicuramente ai kinghiani, parla di un ragazzo un pochino autistico, con un grandissimo talento nelle illustrazioni e nell’astrarre le informazioni per disegnare mappe tematiche, che viaggia da solo attraverso l’America per andare a ritirare un premio e, soprattutto, sfuggire a una grande tragedia accaduta nella sua famiglia. Il carattere preciso del ragazzo si riflette nella sua scrittura in prima persona, ricca di dettagli e osservazioni apparentemente marginali, e anche nella struttura editoriale del libro stesso, costellato di disegnini, schemi e note a lato della pagina.
Tre città
San Pietroburgo: è una città molto rumorosa e trafficata, i russi sorridono poco e parlano pochissimo altre lingue, ha un clima di pupù. Eppure, raramente mi è successo di rimanere così schiacciato di fronte alla magnificenza di una città, dall’imponenza dei suoi palazzi e delle sue strade e dalla sensazione di come la Storia sia passata di là. E non ho manco visto l’Ermitage…
Copenhagen: viceversa, la capitale della Danimarca è più dimessa, è moderatamente barocca senza eccedere in fronzoli. Ma quello che mi è piaciuto della città è l’atmosfera: una città tranquilla e vivibile ma senza la troppa tranquillità delle città svizzere o svedesi. I danesi sono i terroni della Scandinavia, ed è per questo che mi sono simpatici.
Viterbo: una città italiana, per non fare quello che deve per forza essere esterofilo. Scelta quasi per caso per un incontro tra amici, è stata una bella sorpresa. Un centro storico medievale conservato benissimo senza sembrare artificiale come a volte succede nei centri storici toscani, chiese imponenti ma dimesse, e una bella atmosfera, senza contare che, come sempre da quelle parti, per trovare dove mangiare male bisogna impegnarsi! E poi c’è la Casa Bianca…
Tre nuovi telefilm americani
Game of thrones: se seguite solo marginalmente il mondo dei telefilm americani avrete sicuramente sentito parlare di questa mastodontica produzione fantasy. Mi ci sono avvicinato un po’ dubbioso, perché trovo il fantasy in generale piuttosto scemo e infantile, ma mi son ricreduto per i temi adulti, la cura nel raccontare gli avvenimenti, l’abile capacità di orchestrare i diversi fronti, e sopratttutto per Peter Dinklage come Tyron Lannister: un personaggio straordinario per un attore straordinario. Son solo dieci episodi, che aspetti a vederlo? Molla Walking Dead, è questa la serie HBO dell’anno!
Homeland: la serie sull’America post-undici settembre. Un marine rimane prigioniero sette anni in Iraq, e poi viene liberato; contestualmente un’analista della CIA un po’ schizzata scopre che un prigioniero americano (non si sa quale) è stato convertito al fondamentalismo islamico. Sarà semplicamente il marine in questione? O c’è dell’altro? Una serie che pone le sue basi nelle paranoie, nei sospetti e nei controsospetti, ma che fa anche un grande lavoro di esplorazione psicologica dei protagonisti.
American Horror Story: una classica storia di casa stregata, con l’apparato tipico del sotto-genere: casa vittoriana con un sacco di omicidi, rumorini, la vicina di casa down che dice a tutti “morirete!”, presenze e uno scantinato in cui tutto è iniziato. Quello che c’è di interessante (e, mi pare, inedito) è l’aspetto seriale: ci sono un sacco di misteri e di cose da scoprire sul passato e il presente della casa; è un po’ la tecnica “Lost” applicata all’horror: si inizia in medias res e poi scopriremo che è successo col tempo. Poco splatter, ma qua e là ci si caga in mano, e col proseguire degli episodi, man mano che i misteri di dipanano, non si rimane delusi. E poi tutti amerete rubber man, ve lo assicuro!
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8 Comments »
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20th Century è vero che un po’ svacca, ma secondo me non così tanto.
Il vero re degli svacconi è Bone!
Invece, sui telefilmi, affrettàti a vedere Boardwalk Empire!
Comment di golosino • 9 Gennaio 2012 12:49
Prova ad andare lungo la Prospettiva Nevskji in estate: se non reagisci come il lupo di Tex Avery, vuol dire che sei fatto di pietra
Comment di paolo • 10 Gennaio 2012 10:20
Tutti i manga di Urasawa di tipo thriller svaccano. Perchè lo sceneggiatore (che non è Urasawa) si concentra sempre sul creare tensione – e ci riesce bene – ma una degna risoluzione degli eventi non è in grado di farla.
Comment di Garion • 10 Gennaio 2012 10:24
Golo: vero, vero, vero! Nulla svacca come Bone, il re dello svaccone!
Paolo: fatto. Mmmmhhh, devo essere fatto di pietra (o forse giravo col naso all’insù!).
Garion: assì? 20th Century non è scritto da Urasawa? E perché l’autore non è accreditato? (“Monster” però regge bene fino alla fine. E speriamo per Billy Bat, che finora non si è ancora perso)
Comment di xx • 10 Gennaio 2012 21:29
non era il naso che dovevi usare, ma gli occhi…
Puo’ anche darsi che tra il 2001 e il 2011 alcune cose siano cambiate
Comment di paolo • 11 Gennaio 2012 11:43
Paolo e XX: almeno avete -ma cosi’, per puro caso- incocciato Igor Stravinsky ?
Comment di MCP • 13 Gennaio 2012 01:03
non so, pensavo che Igor Stravinski lo si incocciasse a Parigi
Comment di paolo • 13 Gennaio 2012 10:56
XX: non veniva accreditato perchè inizialmente faceva ghost writing. Cmq Takashi Nagasaki per Urasawa ha scritto: Master Keaton, Monster, 20th Century Boys, Pluto e Billy Bat. Personalmente ho trovato un po’ scazzato anche il finale di Monster.
Comment di Garion • 13 Gennaio 2012 12:53