xxmiglia.com's
uFAQ
Scrivermi?
Categorie
Ricerca

Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
Annecy 2012 parte I: Considerazioni generali e lungometraggi

Genova, sabato 2 giugno 2012.
Silvia, 5 anni: – Ma dove va lo zio Luca?
Miasorella: – Va a vedere i cartoni animati per una settimana intera.
Silvia: – Ma lo zio Luca è grande! Perché va a guardare i cartoni? E ci voglio andare anch’io!
Miasorella: – Chiamiamolo e diciamoglielo!

Spero proprio che tra qualche anno, quando Silvina sarà abbastanza grande, rimarrà così appassionata di cartoni animati da capire che i cartoni animati sono uno spasso enorme a qualunque età. E com’è andata quest’ anno? Beh, sinceramente, “benino“. Intendiamoci, mi sono divertito tantissimo come sempre, ho rivissuto in gran spolvero la Annecy Experience descritta l’anno scorso, ho visto un sacco di cose interessanti e ho espanso i miei orizzonti, ma oggettivamente il piatto forte del festival, il concorso di cortometraggi, è stato abbastanza scadente. Ma ci arriveremo con calma.

E’ stato l’ultimo anno della direzione artistica di Serge Bromberg. L’istrionico, polivalente, geniale comunicatore che ha lanciato il festival così com’è adesso si dedicherà ad altri progetti. Tenendo conto che l’anno prossimo il cuore del festival, il centro Bonlieu, sarà in ristrutturazione, è probabile che il 2013 porterà dei grossi cambiamenti. D’altronde, pensando a com’era il festival nel 2003, alla mia prima apparizione, e confrontandolo con quello di oggi si notano già non poche differenze: l’importanza data ai lungometraggi, che stanno pian piano soppiantando i corti, la perdita di valore delle rassegne, il comprimersi dei costi rinunciando a tanti frilli e, soprattutto, l’aumento di affluenza. Mai come quest’anno, in più occasioni, ho avuto l’impressione che il Festival di Cinema di Animazione di Annecy fosse vicino al collasso per l’affollamento.

Come da tradizione, ogni anno è dedicato a una nazione, e quest’anno è stato dedicato all’Irlanda. “Ma che animazione ha prodotto l’Irlanda?” chiederete voi. Eh, bravi. Poca roba e neanche molto interessante, infatti non ne ho visto proprio nulla. E, come l’anno scorso era successo per la Polonia, quest’anno c’è stata una nazione che è spiccata sulle altre per quantità di film proposti: la Corea del Sud. Quasi dieci anni fa, nel 2004, il festival era stato dedicato alla Corea, e ripensando alle pessime produzioni di quel periodo c’è da dire che hanno fatto davvero passi da gigante. C’è roba buona e meno buona, ma quello che colpisce è la varietà di temi e di toni dal punto di vista cinematografico, e, dal punto di vista dei contenuti, il ritratto spietato di una società che sembra disumana nella sua rigidezza, competitività e spietatezza. Viene spontaneo paragonare i coreani ai giapponesi: sono convinto che si tratta di due società simili, ma che i coreani siano molto più autocritici e spietati nei propri confronti (senza tralasciare il fatto che sei i coreani appaiono in un ottimo momento creativo,  il Giappone  è sempre più in crisi di idee). A sinistra, il bel manifesto del festival.

E parliamo subito di un ottimo lungometraggio coreano, fuori concorso: King of the pigs di Sang-oh Yeung. Uno scrittore fallito incontra un suo compagno delle medie, divenuto un manager, e insieme a lui ripercorre i ricordi della loro gioventù, soprattutto riguardo un loro compagno di scuola che avevano eletto come leader (appunto, il “king of pigs”) e  i drammatici eventi che ne seguirono.  Si tratta sostanzialmente di una storia di bullismo,  visto come specchio di una società in cui i forti e i ricchi prevaricano i  deboli e i poveri.  E, soprattutto, è una storia senza nessuna speranza, agghiacciante nella sua durezza: le scene nel presente dimostrano come il mondo fuori dalla scuola funzioni allo stesso modo del microcosmo scolastico, e il ricordo non porta nessun conforto. Forse la battuta chiave, pronunciata dal King of Pigs dopo aver picchiato un bullo, forse è proprio: “Ho una sola paura: che quando crescerete possiate guardare indietro a questo periodo e sorridere. Voglio che ricordiate solo terrore e dolore”.

Bene, vi siete depressi? Questo è solo l’inizio. Il vincitore del Cristallo di Annecy come miglior lungometraggio è stato Crulic – drumul spre dincolo, di Anca Damian, un film croato che parla della morte di un detenuto rumeno in Polonia dopo un prolungato sciopero della fame. Il tema è pesante, ma c’è dell’umorismo (nerissimo) ed è un film tecnicamente straordinario, ricchissimo di idee, di soluzioni visive, con un ritmo perfetto e testi eccellenti. L’animazione serve anche a questo: a trattare un tema del genere e renderlo fruibile; non riesco ad immaginarlo girato dal vivo. Ah, e si vedono alcune foto di Genova. Yeeee! L’ho visto un po’ dubbioso, mi sono ricreduto dopo due scene. Bellissimo.

Tristi? Rimaniao in tema e parliamo di Arrugas, film spagnolo di Ignacio Ferraras. vincitore del secondo premio. Si tratta di una storia d’amicizia tra anziani in una casa di riposo, tra l’isolamento dal mondo, l’attesa della morte e la minaccia dell’Alzheimer. E’ oggettivamente un bel film, triste ma senza essere patetico, e secondo me, nel lotto dei film di cui sto parlando, è uno dei pochi che forse potremo vedere in Italia.

Due rapidi cenni ad altri due coreani (almeno in parte). Coleur de peau: miel di Laurent Boileau e Jung Henin è una storia di adozione in Belgio di un bimbo coreano che, cresciuto, vorrà ritrovare le sue radici. E’ piaciuto in generale (ha vinto il premio del pubblico – cosa che mi ha sorpreso non poco), ma io non l’ho amato particolarmente, tanto che mi è scivolato via, lo sto dimenticando molto in fretta. Molto più duro e crudo è Eun-sil-yee (The Dearest) di Sun-Ah Kim e Se-hee Park: in un villaggio di campagna una ragazza ritardata è l’oggetto sessuale di diverse persone, muore di parto, e tutti cercano di ammazzare il suo bambino, mentre i servizi sociali e lo Stato sono assenti. Gasp. Al di là del tema, il film non è comunque un granché.

Ok, i più pesanti sono andati. Ronal the barbarian (di Thorbjorn Christofferesen e altri tre signori) è davvero un sacco divertente. Appare come una specie di Dragon Trainer (il vichingo/barbaro “sfigato” in un villaggio di superuomini), ma ha un sacco di riferimenti a un certo mondo gay, al sado/maso e all’iconografia heavy metal: balle volanti! Frustini! Amazzoni non-standard! Metallari ante-litteram! Demoni giganti e fiumi di sangue! Guardatevi un filmatino, dai. Corrisponde più o meno ai titoli di coda.  Si ride davvero tanto in questo film.

Un cenno breve a Tad the lost explorer, una parodia spagnola di Indiana Jones, abbastanza divertente e con alcuni comprimari azzeccati (dovrebbe essere distribuito anche in Italia, secondo il produttore esecutivo che ho conosciuto in coda), e a Le Tableau, una storia un po’ poco riuscita sui personaggi di un quadro alle prese col razzismo (ne ho dormito metà, a dire il vero!).

Infine, non ho visto anteprime, ma di Madagascar 3 ne facevo a meno e gli altri a naso ispiravano poco. Mi spiace però aver perduto Le jour de Corneilles di  Jean-Christophe Dessaint, di cui mi hanno poi detto un gran bene. Ne avevo il biglietto, ma l’ho scambiato per vedere stupri di ragazze ritardate. Sgrunt.