Già dissi che uno dei mantra ricorrenti di chi commenta Annecy è “Quest’anno la selezione era in media buona, ma mancavano i corti di spessore”, cosa che sento ripetere da quando frequento il festival. Inizio a questo punto a chiedermi cosa diamine siano i corti di spessore. Beh, comunque quest’anno mancavano i corti di spessore, e la selezione è stata in media scarsina. Ragioni? Mah! Forse la fantomatica “crisi”, per la quale ci son meno soldi da spendere per una cosa squisitamente improduttiva dal punto di vista economico come i cortometraggi animati? Forse il fatto che il comitato di selezione, per la prima volta, era interno al festival e ha fatto un lavoro mediocre? O semplicemente un caso? Boh!
Ma vediamo cosa c’era di notevole, in un senso o nell’altro.
Iniziamo col vincitore del Cristallo di Annecy, che non ho ancora detto essere Tram di Michaela Pavlatova (Francia,a sinistra), una ritmatissima animazione sulle fantasie erotiche di una guidatrice di tram. Certo, “manca di spessore”, ma direi che sono stato contento di questo premio, è un lavoro divertente, stuzzicante e molto originale. Potete vederne un teaser qui. E’ stato invece ignorato completamente dai premi il buon Aalterate di Christobal de Oliveira (Francia, Olanda, a destra), una storia onirica molto avvolgente e interessante, in particolare per una scena in cui le parti animate aumentano progressivamente fino a comporre un mosaico astratto complesso e ipnotico. Certo, se non ce lo diceva nel riassunto capire che erano gli ultimi pensieri di una donna in coma era quasi impossibile caprilo, ma visto che è un’opera prima confido nelle prossime prove dell’amico Christoballo.
Il secondo premio è stato relativamente prevedibile, in quanto si tratta di un corto che facilmente piace alle giurie: Edmond était un âne di Franck Dion (Francia, Canada, a sinistra) racconta del classico omino sfigato che scopre la sua vera natura quando, per fargli uno scherzo, gli mettono delle orecchie d’asino. E’ una storia sulla propria natura e sull’autorealizzazione. A me gli asini sono un sacco simpatici, soprattutto se paragonati a quegli stronzi malvagi dei cavalli, ma riconosco che è un corto furbetto e poco seminale, ma tuttavia ben realizzato e, in ultima analisi, apprezzabile. Immancabile il corto molesto dell’anno. Senza dubbio, il vincitore è Some Actions Which Haven’t Been Defined Yet in the Revolution di Sun Xun (Cina). Le tecniche più astruse come (in questo caso) l’incisione su legno possono essere suggestive, ma portano quasi irrimediabilmente a opere noiose e farraginose. Chissà di cosa parlava questo corto, mi sono appisolato un minuto o due e poi mi son svegliato con un tizio che si masturbava in primo piano. E già che parliamo di molesti, c’era anche un corto sullo schermo di spilli, pardon, sul fottuto schermo di spilli: Le Grand Ailleurs et le petit ici di Michèle Lemieux (Canada) , che come suggerito dal titolo e come da tradizione del fottuto schermo di spilli, era du’ maroni così di seghe mentali autoriferite.
Per continuare sulla scia dei lungometraggi, c’è un corto coreano che parla di altra roba pesa, e cioè delle donne rapite durante la Seconda Guerra Mondiale e usate come oggetti sessuali dai soldati giapponesi in Indonesia. Si chiama Herstory (a sinistra), è diretto da Jun-ki Kim ed è un buon lavoro, strutturato come un documentario con la voce fuori campo in prima persona di una donna coreana che ricorda. Forse un po’ fastidiosa la rappresentazione dei giapponesi esattamente come erano mostrati dalla propaganda americana dl tempo (denti sporgenti, occhiali, sgraziati e storti), ma la cosa è evidentemente voluta. Spasso coreano, insomma. Rimanendo in oriente, due corti giapponesi da segnalare: il primo è di nientepopodimenoché Katsuhiro Otomo, si intitola Hi-no youjin (a destra) e parla di pompieri nel giappone dell’antica Edo con una storia d’amore impossibile sullo sfondo. Dà l’idea di essere un’idea per un lungometraggio abortita, perché ha un sacco di spunti appena accennati e personaggi che, evidentemente, erano pensati per avere una storia e una personalità che rimangono appena in nuce. Il secondo è Tsukumu di Shuyei Morita, ed è una storia di fantasmi alla giapponese, con un tocco di umorismo, gran begli sfondi e un sacco di ombrelli.
Il premio del pubblico non lo condivido affatto, e infatti ho manifestato il mio disappunto non applaudendo durante la premiazione e incrociando le braccia. Si tratta di Second Hand di Isaac King (Canada), un classico apologo morale sulla frenesia della vita moderna vs. i vecchietti che vivono tranquilli e riciclano. Ah, i danni che ha fatto Frédérik Back e la sua fottuta sedia a dondolo! Più condivisibile il premio Canal+ (che poi so’ sacchi!) a Una furtiva lagrima di Carlo Vogele (Lussemburgo,a sinistra), divertente animazione di… pesci morti! Altri due film degni di nota e che accomuno solo io nella mia mente malata sono Sunny Afternoon di Thomas Renoldner (Austria, a destra) e Rossignols en décembre di Theodore Ushev (Canada). Li accomuno perché sono corti astratti ma figurativi (eh?!?) che si basano in qualche modo sulla musica, ma il primo è una presa per il culo sulle avanguardie, condita con un’appendice perché, come dice l’autore “di più è meglio”, il secondo una rutilante sequenza di immagini pittoriche con un fortissimo impatto visivo ed emotivo. L’austriaco è stato il mio vincitore morale, il canadese colui che avrebbe dovuto vincere qualcosa sul serio.
Altri due premi da citare: il terzo premio è andato a Seven minutes in the Warsaw ghetto di Johan Oettinger (Danimarca), premio a mio parere incomprensibile per la solita storia dei nazisti che fanno una cattiveria senza senso. Mah! Meglio il premio della giuria Junior a Historia d’este di Pascal Peréz (Spagna, a destra) , un piccolo filmino divertente su un tizio che beve un sacco di caffé, brandy e birra giustificandosi con se stesso. Non un capolavoro, ma la giuria junior deve premiare film simili non, come ha fatto in passato, film impegnati per darsi un tono. Concludo con qualche rapido cenno. Era molto atteso il nuovo Barry Purves, sicuramente il miglior animatore di pupazzi al mondo, con Tchaikovkij elegija (Russia, Bielorussia) ma ha piuttosto deluso: grandissima prova tecnica, ma un po’ arido. C’è un estone che fa l’estone, quindi con una storia surreale coloratissima e divertente a modo suo: Villa Antropoff di Vladimir Leschiov e Kaspar Jancis; c’è anche il nuovo Pes, che fa sempre la stessa cosa e questa volta fa il Fresh Guacamole.
Beh, dai, alla fine qualcosa di cui parlare c’era. Che mi fossi sbagliato?