Ogni tanto mi ricordo dei miei primi tempi ad Annecy, quando c’erano quattro lunghi in concorso e due o tre anteprime, e quindi vedere un film intero era un’occasione rara. Ormai, con 9 film in concorso, 9 fuori concorso e diverse anteprime e programmi speciali, è diventato impossibile vederli dal primo all’ultimo, se non rinunciando a tutto il resto. E’ un grosso cambiamento, è indice del fatto che i lungometraggi animati sono sempre più popolari e meno costosi da produrre.
Beh, io ne ho visti nove e vi parlo di tutti. Mettetevi comodi, iniziamo da quelli in concorso.
Cheatin’ di Bill Plympton è un classico film plymptoniano: muto, disegnato tutto di persona da lui nel suo stile cartoonesco al tratto, con alcune gag di “trasformazione”, a tratti anche un po’ di schifino, è però venuto meno bene dei suoi lavori precedenti. Parla della storia di una donna e del suo marito che la tradisce (per vendetta?) e di come lei userà la tecnologia per riaverlo almeno in parte. La trama è un po’ confusa, non studiata benissimo, ma ci sono alcune sequenze memorabili (in particolare una serie di espressioni del marito da antologia e una bella gag sul cuore della donna). Plympton in persona vende disegni e memorabilia per finanziare i suoi film. Bravo ragazzo.
Lisa Limone ja Maroc Orange: tormakas armulugu (Lisa Limone e Maroc Orange: una rapida storia d’amore) di Mait Laas è affascinante soprattutto per il cortocircuito: un musical estone a pupazzi ambientato a Lampedusa, cantato in italiano e in francese, sul dramma dei migranti nei barconi. Io ho voluto vederlo solo per capire cosa poteva venir fuori, e tutto sommato, facendo la tara alla mediocrità delle canzoni, a qualche lacuna tecnica e al fatto che non si capisce come va a finire, mi son divertito e ho apprezzato. Il film è stato proiettato in 3d e la parte iniziale è in un ottimo 3d, poi han finito il budget e si torna a un lavoro standard e un po’ piatto. E’ piaciuto solo a me, devo ammettere.
Saibi (The fake) di Sang-Ho Yeon merita un discorso più articolato. Il regista è lo stesso del già apprezzato King of pigs visto qualche anno fa, e prosegue il tema già introdotto in quel film e comune a diversi film coreani: la rappresentazione di una società durissima in cui il più forte soverchia il più debole. In questo caso, lo spunto nasce da un villaggio che deve essere sommerso per la costruzione di una diga, e in cui alcuni truffatori fondano una chiesa per far donare alla gente del luogo i soldi che hanno ricevuto come compensazione. L’unico ad accorgersi di questo è un ubriacone violento e rozzo che picchia moglie e figlia, e a cui ovviamente nessuno darà ascolto. Esemplare il momento in cui quest’uomo dice a un suo conoscente, ex-amico: “Ma non sarà mica che il cattivo sono io?”: l’eroe titanico che lotta solo contro il Male è anch’egli parte del Male. La fede qua è solo superstizione, e nei rari casi in cui dona conforto è solo al prezzo di sangue e denaro. Pur essendo molto pesante, ho amato molto questo film, ma una domanda mi è sorta: perché farlo in animazione? Lo stile è perfettamente realistico, potrebbe essere girato dal vivo senza problemi. Eppure è qui la magia dell’animazione: vedere le persone come rappresentazione e non come attori rende il messaggio ancora più duro e sentito.
Giovanni no shima (L’isola di Giovanni) di Mizuho Nishukubo è un drammone storico giapponese, che parla dell’occupazione di un’isola a nord del Giappone nell’immediato dopoguerra da parte dei russi. Due bambini e la loro famiglia vivranno questo episodio storico in prima persona, conosceranno una ragazzina russa, fraternizzeranno con gli invasori, verranno deportati e così via. Di notevole l’incrocio con l’amatissima storia giapponese Notte sulla ferrovia galattica da cui prende il nome il titolo, e che attraverso i bambini interseca la trama. Graficamente piuttosto standard, è comunque un buon prodotto, a tratti anche commovente, mai noioso.
Asphalt Watches di Shayne Ehman e Seth Scriver è molto brutto, ma è un bel mistero. Visivamente molto brutto (volutamente, suppongo) narra la storia di un tizio e del suo compagno fantasma e il loro viaggio on the road attraverso il Canada. Il mistero sta nel fatto che la sala rideva molto, e io non capivo perché. Intendiamoci, esistono alcuni tipi di umorismo che non mi fan ridere (ad esempio, quasi tutto il cabaret basato sui tormentoni), ma li riconosco come tali, in questo caso invece proprio mi sfuggiva cosa ci fosse da ridere. Una gag tipica di Asphalt Watches è una musichetta tecno che parte con un piccolo tormentone, del genere “She’s gone to take the boiled hot dogs, she’s gone to take the BHD”. E parte della sala si spanciava. Son rimasto fino in fondo a cercare di capirci qualcosa, ma niente. Solo un brutto film.
Con questo concludiamo i film in concorso visti. Passiamo a quelli fuori concorso.
Koo! Kin dza-dza di Georgiy Daneliya e Tatiana Ilyina è un curioso prodotto russo, versione animata di un film da vivo del 1986 molto popolare in Russia. E’ una storia di fantascienza surreale, con qualche debito a Metal Hurlant e Moebius come atmosfere, ma chiaramente russo come spirito. E’ abbastanza divertente e si capisce come “Koo!” possa esser stato un tormentone in Russia negli anni ’80, ma si ha l’impressione (peraltro confermata da chi ha visto entrambi i film) che la versione dal vivo fosse più fresca e più divertente, anche forse per il fatto di essere dal vivo. Grazioso, comunque.
Resan Till Fjäderkungens Rike (Alla ricerca del re delle piume) di Esben Toft Jacobsen è un film danese dal regista di The Great Bear che avevo trovato discreto tre anni fa. Se consideriamo anche Disco Worms e Ronal the barbarian, altri prodotti danesi di buon livello, ho voluto vederlo per vedere i miei amici nordici cosa combinano. Cattiva idea. Ho dormito un sacco, ma ciò che ho visto era molto confuso e mal girato, e anche brutto. E’ comunque un metaforone sul concetto di accettazione della morte da parte di un bambino. Buona idea, pessima realizzazione.
Manieggs – Revenge of the hard boiled di Zoltan Miklosy è un film curioso. Estesticamente molto spartano, riesce però a trovare un suo stile interessante coi personaggi a forma di uovo con gli arti volanti rispetto al corpo, facendo anche un paio di gag su quest’ultima caratteristica. E’ una storia poliziesca, parodistica, molto citazionistica e sopra le righe, violenta, abbastanza divertente e costruito con una bella progressione. Trama molto assurda, direi volutamente, che trae spunto dal ceffo che vuole vendicarsi chi l’ha incastrato facendogli fare quindici giorni di carcere.
Infine, un film che è probabile che vedremo al cinema anche in Italia. Justin and the Knights of Valour di Manuel Sicilia è una produzione spagnola, con dietro Antonio Banderas, che però segue i canoni americani estetici e di trama. Risulta quindi piuttosto prevedibile, ma assai divertente, con qualche bel personaggio azzeccato e mai stupido. La storia è ambientata in un medioevo in cui i cavalieri sono stati banditi e hanno il potere gli avvocati, e un ragazzino vuol seguire le gesta del nonno cavaliere. Ci riuscirà? Conquisterà la sua bella? E che succederà con quel cavaliere cattivo che vuol conquistare la città? Eh già. E’ prevedibile, ma dategli una chance. Ci si diverte.
Un cenno a due film che non ho visto personalmente ma li ha visti qualcuno del mio gruppo: L’arte della felicità è un film italiano, e io degli italiani ho paura perché fanno troppo spesso gli artistoidi senza poterselo permettere. Su questo ho sentito pareri discordanti, ma un po’ son pentito di non averlo visto. Até que a Sbornia nos separe (Finché Sbornia non ci separi) non è un film sulle sbronze, ma una storia brasiliana su un paese isolato che si ricongiunge al mondo. Per concludere, poi c’è una serie di opere che non ha visto nessuno del mio entourage perché facevano paura. Qualche esempio: Minuscule – La Vallée des fourmis perdu, in ritardo vent’anni su A bug’s life o Z la formica; Last Hijack, storia di pirati somali, di moda quest’anno, pare;Truth has fallen, pittura su vetro sulle pecche del sistema giudiziario americano. Gulp.
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