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Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
La mia breve carriera di lavapiatti felice

Ci fu un momento, nella mia infanzia, che decisi che lavare i piatti era assai divertente. Avevo circa otto anni, e non ricordo come scoprii questa fonte di spasso, tantopiù che in casa mia c’è sempre stata la macchina lavapiatti; quindi il lavaggio manuale avveniva sporadicamente, magari soltanto per i piatti della colazione o per qualcosa di occasionalmente lasciato fuori da una macchinata. E nemmeno ricordo cosa trovassi di così ricreativo in quest’incombenza: forse l’odore del sapone, l’idea di pulizia che vi è associata, la sensazione tattile dei piatti, il collegamento col mondo del cibo. In effetti ci sono un sacco di ragioni per cui lavare i piatti è fonte di spasso, a  ben pensarci.

Un giorno infausto era presente a casa mia la Nuccia, la mamma di una compagna di classe di mia sorella. A un certo punto mia mamma proclamò che c’era da lavare i piatti (ripensandoci, poteva essere un modo per far capire a quella signora che era ora di sloggiare!) e io mi intromisi: “Posso darti una mano?”. La Nuccia disse con un tocco di sarcasmo “Com’è volonteroso!”, al che mia mamma le rispose “No, lui si diverte!”, tipica conversazione su un bambino fatta come se lui non fosse presente. Comunque sia, iniziai a lavare i piatti bello gaio, ma a un certo punto avvenne il fattaccio. Nell’acqua del lavello incappai in un pezzo di pane infradiciato: non so perché, ma la cosa mi schifò al punto che mi tolse tutto il gusto di lavare i piatti, allora e per sempre. Che ci volete fare, ero un bimbo sensibile e volubile.

Ed è quindi per colpa di quel tozzo di pane se non mi si è aperta una brillante carriera come lavapiatti. Un’altra porta che mi si è chiusa per colpa del destino avverso.

La strage dei mangiapatate

(Chiamate il WWF, qua si parla di sterminio di massa di animali. E fa anche un po’ schifino.)

Sassello, 1984 o giù di lì
Quell’anno Baciccia (crossover con altro post!) aveva piantato le patate, nel campo che stava tra casa sua e i terreni della Cecchina. Poco lontano dalla casa degli zii di Lella, per capirci. Quel gruppo di giovani virgulti che scorrazzava per la campagna (cioè io col mio entourage), visitando quel campo, scoprì che era infestato dai mangiapatate. No, non si trattava di belgi, ma di una strana specie di insetti, non molto diversa dalle coccinelle ma col dorso a strisce di color nero e giallo chiaro: qualche tassonomista potrà forse scoprirne il nome scientifico, Google purtroppo non lo sa.
Ebbene, da bravi bimbi che eravamo decidemmo di liberare il campo di Baciccia da questi animaletti, pensando, forse a ragione, che fossero dei parassiti. Passammo quindi un allegro pomeriggio a raccoglierli, mettendoli in un sacchetto di plastica. Tale contenitore, man mano che il sole tramontava e si appropinquava l’ora di cena, divenne bello pieno e pesante. Sudati, sporchi e soddisfatti del nostro lavoro a questo punto ci ponemmo il problema: che  fare di tutte quelle bestiole? A liberarle si rischiava che tornassero a infestare i frutti della fatica di Baciccia, e poi dovevamo dare l’esempio a tutti i futuri mangiapatate. Appoggiammo il sacchetto per terra, e iniziammo a calpestarlo senza pietà, riducendo i malcapitati animaletti in poltiglia. Il sacchetto fu poi buttato nella spazzatura senza che nessuno osasse aprirlo.
Ed è da allora che i fantasmi di centomila mangiapatate infestano Sassello.

La Ferrari

Padania, 2001.

All’inizio del secolo lavoravo e vivevo a Milano, ma passavo quasi sempre il weekend in Liguria. Ero felicissimo di sgommare via dalla metropoli, ma il viaggio era un discreto sbattimento, tantopiù che spesso andavo in macchina e, soprattutto con la bella stagione, era inevitabile trovare traffico.
In una di queste occasioni, ero già in pianura e si andava a rilento, in quella situazione immediatamente prima della coda in cui le distanze tra le automobili si riducono e la velocità di crociera si stabilizza sui 60-80 km/h: in questi casi, è inutile cambiare corsia o provare a sorpassare, bisogna rassegnarsi e andare piano. Almeno, questo vale per chi ha una Ka, ma non per chi possiede una Ferrari: chi le compra, evidentemente, ritiene che nel prezzo siano compresi impunità per gli eccessi di velocità e diritto ad avere la strada libera (*). Dietro di me sbucò rombante un bolide rosso che chiese strada lampeggiando coi suoi potenti fari. Io, che sono paziente e tranquillo, mi tolsi di mezzi e feci (ah, ah, ho scritto “feci”!) strada. Ma io sono anche malvagio, ed ebbi una splendida idea. Mi misi dietro la Ferrari e attaccai anch’io a lampeggiare, fingendo di voler passare, come per dire “Che diamine! Siamo andando a 80 km/h! Io ho una macchina che può arrivare ai 140, questa velocità è intollerabile!”, e sono andato avanti così per non so quanto tempo. Ovviamente il comandamento di quel signore era “non avrai altra corsia al di fuori di quella di sinistra” e non si sognò di scostarsi, così io godetti a lungo immaginandomelo sbavare dalla rabbia perché qualcuno voleva sorpassarlo. Oh, magari non gliene fregava niente e ha ignorato il babbo di minchia sulla Ka che lampeggiava come un ossesso ridendo ad alta voce, ma mi permetto di nutrire forti dubbi a riguardo.
Alla fine la strada si liberò e il mio temporaneo amico riuscì a sfrecciare lontano. Lo salutai lampeggiando coi fari, e mi spostai nella corsia di destra, per fargli fare un’ultima sbavata. Sono soddisfazioni.

(*) Mi si conceda un’invettiva: trovo in generale le macchine sportive piuttosto volgari (e mi perdonino gli amici che ne possiedono una, non è nulla di personale, lo sapete bene), ma la Ferrari per me è il prototipo della macchina da spacciatore, da impreditorinculo arricchito o da manager cocainomane abbronzato che  ha fatto i soldi sulla pelle dei dipendenti. Con buona pace del mito del design italiano.

Quozziorneim

Ho iniziato a studiare inglese in seconda elementare. A ripensarci, è stata una manovra non poco audace per una scuola di suore, ma la mia maestra in certe cose era abbastanza moderna, bisogna dirlo. Non ho mai capito se questo studio così precoce mi sia servito effettivamente, poiché il programma di quattro anni di scuola elementare è stato poi coperto entro la fine della seconda media, e il programma delle medie è stato sorpassato entro il primo quadrimestre della prima liceo dalla mia severissima (ancorché bravissima e tuttora molto amata dai suoi ex-allievi) insegnante al liceo. E’ però vero che iniziando presto a orecchiare la lingua d’Albione è possibile che sia stato facilitato in seguito.
Durante i quattro anni di studio, ho avuto due insegnanti, una in seconda e in terza e una in quarta e in quinta. Entrambe si chiamavano Rossana, ma la seconda voleva essere chiamata “Rox”. Secondo me le rodeva. In ogni caso, quello che ricordo esplicitamente di aver imparato alle elementari sull’inglese è quanto segue:

Vetsoll, folcs.

Il mistero della esse impura

Alassio, 1982

Era un giorno di terza elementare, e la maestra ci stava spiegando gli articoli determinativi. Il punto più spinoso della lezione, come potrete immaginare, era quando usare “il/i” rispetto a “lo/gli”.
-L’articolo “lo” e relativo plurale vanno utilizzati davanti a zeta, esse impura, gn e ps (*), asserì la pinguina con energia mentre scriveva alla lavagna.
-Suora, chiese Silvia, cosa significa “esse impura”?
-Adesso ve lo spiego, rispose Suor Maddalena mentre terminava di armeggiare coi gessetti.
Ma al momento di  dare l’agognata risposta a una classe che pendeva dalle sue labbra, ci fu un imprevisto. La maestra fu chiamata fuori dall’aula, lasciandoci con un cliffhanger che nemmeno i season finale di Friends.
L’aula rumoreggiò: il mistero della esse impura era ancora tale, e ventidue giovani menti reclamavano una risposta! Susanna si rivolse a me e mi chiese:
– Luca, (sottintendendo: tu che la sai lunga) tu sai cosa vuol dire?
– Credo di sì, risposi.
La classe era in attesa del mio vaticinio. Stavo per esporre la mia teoria quand’ecco che la maestra tornò e sciolse ogni dubbio. Meglio così.
Già, perché la mia ipotesi era sbagliata, ma testimoniava il fatto che fossi un tipo molto attento. Ero convinto che “s pura” e “s impura” corrispondessero a “s sorda” e “s sonora” (o viceversa). E, concedetemi, il fatto che avessi notato tutto da solo che a una lettera dell’alfabeto corrispondessero in effetti due suoni differenti era un’osservazione di tutto rispetto. Bravo, Luca. Peccato che la risposta fosse sbagliata.

(Sì, questo è particolarmente inconcludente, ma mi piace bullarmi di quanto io sia stato ganzo!)

(*) Sì, la maestra non citò “pn”. Infatti ancora oggi devo pensarci un attimo prima di dire “lo pneumatico” invece di “il pneumatico”.

Venerdì 2

Qualche mese fa, facendo ordine in cantina, ho trovato una preziosissima reliqua del Piccolo Luca: un quaderno in cui, come compito delle vacanze, ho tenuto un diario della mia permanenza a Sassello durante un’estate. Data l’importanza di questo documento, ho deciso di scannarlo e di commentarlo tutto. Sì, non ho nessuna pietà di voi.

Partiamo dalla copertina. Il quaderno sicuramente non è stato scelto da me, poiché, come potete vedere qui, sotto è un fuorissimo di modissima (anche per quei tempi!) quaderno dell’Intrepido:

copertina.jpg

Come esercizio, immaginate la trama de I due dell’Apocalisse guardando le figure, senza cercare informazioni su Google.

Inizio con una poderosa terza di copertina:

terza.jpg

Luca Notizie I, c. 2ª-3ª

Luca Notizie II non c’è mai stato ma il lavoro è stato giudicato comunque molto corposo dalla maestra nel giudizio finale. La classe indicata è tra la seconda e la terza (bel tocco di classe, eh?), il che colloca questo documento nel 1982. Nel proseguimento, in particolare l’11 luglio (ricordate, no?), avremo ulteriori prove di questa collocazione temporale. Mi sfugge invece il perché di quei cuoricini sopra la la scritta della classe. Forse avevo fatto un errore e ho provato a coprirlo ma, diamine!, proprio i cuoricini? Siamo forse femminucce?

Vediamo ora la prima entry. Questo è lo scan:

2giugno1.jpg2giugno2.jpg

Tutte le pagine sono cliccabili  se volete leggerle in dimensioni ragguardevoli, ma comunque trascrivo nel seguito tutto ciò che c’è scritto. La seconda pagina è più piccola perché nella stessa c’è anche l’inizio del giorno seguente, e voi non volete gli spoiler su quello che è successo dopo.

Venerdì 2
L’altro ieri sono arrivato qua a Sassello. A Sassello ho degli amici, ed ecco l’elenco: tre Marco, Igor, Daniele, Simone, Alessandra, Annamaria, Manuela, Carlo, Fabrizio, Stefano e Daniela.

Ho fatto mente locale, e so chi sono quasi tutti. Marco P. di Acqui Terme (a quei tempi, almeno), che è pure comparso da queste parti, Marco B. di Varazze, Daniele di Sassello, l’unico autoctono, Simone, Alessandra e Annamaria i tre fratelli di Varazze, Manuela e Carlo di Genova, Fabrizio e Stefano i belgi e Daniela la sorella di Marco P.  Il terzo Marco (si noti il sottile piacere che ho sicuramente provato nel dire che “conosco ben TRE persone che si chiamano allo stesso modo!”) potrebbe essere o il Marco della Villa o Marco di Cecchina, entrambi i quali sono scomparsi nella notte dei tempi: ehi, magari il mio vicino di ufficio potrebbe essere Marco della Villa o Marco di Cecchina! Invece non ho la minima idea di chi diamine possa essere Igor. Niente, nada, nothing, nihil, nix. La cosa mi turba. Non entrerò nel dettaglio, per ora, di queste persone, tantopiù che ritorneranno spesso nel seguito (a parte Igor e il terzo Marco, ovviamente).
Come si può vedere, ho fatto ben due errori nello scrivere “Annamaria”: prima l’ho scritta con l’iniziale minuscola e poi ho dimenticato una “n”. Annamaria, in effetti, era non poco più grande del resto della compagnia (mi pare sia del 1968), quindi non è che passasse tanto tempo con noi.
Infine, curiosa l’espressione “l’altro ieri” invece che “l’altroieri”, che però non è stato corretto dalla maestra, quindi probabilmente è accettabile (oppure le è sfuggito!)

Inizio descrivendo luogo, tempo e  personaggi. Sono o non sono un grande scrittore?

Update: a grande richiesta, la quarta di copertina di Luca Notizie I (purtroppo lo scan non è dei migliori, ma cliccandolo è leggibile).

quarta.jpg

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