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L’amara storia dell’aquilone che non volava

Sassello, 1983 circa

Quando stavo in campagna dai nonni, i miei venivano solo occasionalmente a trovarci, e di solito finivano per portarci qualche regalino. Una volta giunsero con un aquilone, e lo stesso giorno anche il mio amico Daniele tirò fuori dal cappello un aquilione: non so se si trattasse di una  straordinaria coincidenza, oppure se ne avesse uno tra i suoi giochi e si fosse ricordato della sua esistenza solo vedendo il mio. Comunque andammo nei prati accanto a casa mia per far volare quella coppia di gioielli, e qua si consumò il dramma: l’aquilone di Daniele volava benissimo, tra lo spasso e la meraviglia del mio gruppo di amici, mentre il mio non ne voleva sapere di levarsi. Non so perché, forse era fatto meno bene, o l’avevamo montato male, o non erano stati fatti i giusti sacrifizi al dio Eolo, ma il mio aquilone non volava.

Allora lo presi e me ne andai, piagnucolando tra me “Perché il mio aquilone non vola e quello di Daniele sì?” e andai a sedermi sulla scala di casa dei Pamparotti, che (casomai non foste una delle sei persone che lo sanno) sta a qualche centinaio di metri più distante. Mi sentivo come un eroe dei cartoni animati giapponesi alle prese con una ingiusta e titanica lotta contro il destino: l’Universo non vuole che il mio aquilone voli! E io, per combatterlo, me ne sto giustamente a frignare e sperare che qualcuno si accorga della mia assenza e venga a cercarmi per consolarmi! Ok, nei cartoni animati giapponesi di solito non funziona così, ma insomma, vediamo di venirci incontro.

Lieto fine: nessuno si accorse della mia assenza perché erano troppo presi a far volare gli aquiloni e divertirsi. Lieto fine? Eh, sì! Muovi il culo, stronzetto, e smettila di compatirti o torno indietro nel tempo a farti bullismo!

(è un periodo che ce l’ho col mio me stesso di qualche anno fa, che volete farci!)
Letture al sole III

Di bello:

Nonnonba – Storie di fantasmi giapponesi, di Shigeru Mizuki: la migliore lettura del weekend è un altro vecchio manga, in questo caso di Shigeru Mizuki, poco noto in Italia ma uno dei mostri sacri giapponesi, in questo caso quasi letteralmente! Infatti questo volume è un interessante ritratto parzialmente autobiografico dell’infanzia dell’autore, in cui una specie di tata parla dei classici mostri giapponesi (yokai) al ragazzino protagonista, mostri che lungi dall’essere mitici fanno parte dell’esistenza quotidiana. E’ un racconto su un Giappone in cui la tradizione (rappresentata dagli yokai ) si scontra e si fonde col presente (lo spettro della guerra, la povertà, le malattie) e il futuro (le città così lontane e moderne, il cinematografo). Più un manga storico che un horror, ma un’opera monumentale.

Sul fondo del cielo, di Osamu Tezuka: raccolta di storie brevi di Tezuka in una bella edizione della Hazard. Tezuka è come sempre un genio della narrazione, ma ciò che colpisce in questi racconti è il fatto che siano particolarmente “dark” e pessimisti. Tezuka ha sempre alternato uno spietato realismo in cui mostra il lato più oscuro degli uomini a un lato solare pieno di speranza e amore per la vita: in questi racconti è il primo che prevale, spesso accostato a delirii, incubi e visioni. Alcuni racconti sono più riusciti e altri meno (cito tra i migliori quelli del direttore mendicante e quello dedicato alle lotte studentesche) , ma in generale bellissimo e a tratti agghiacciante.

Dylan Dog 2, Jack lo squartatore, di Tiziano Sclavi e Gustavo Trigo:  non me lo ricordavo così interessante il secondo Dylan Dog! A parte gli spettacolari disegni di Trigo, Jack lo squartatore è solo un pretesto (e un curioso deus ex machina per il finale!) per una piccola trama gialla ottimamente sceneggiata. Se poi aggiungiamo le belle pennellate che sa dare Sclavi quando è in forma (penso ad esempio al personaggio del lord innamorato) e qualche finezza di sceneggiatura, otteniamo un bonelliano veramente apprezzabile.

I am a hero v. 6, di Kengo Hanazawa: sono sempre più convinto che quando questo manga apocalittico pseudo-zombesco sarà finito sarà da rileggere per reinterpretatare la storia, perché l’aspetto più interessante continua ad essere la domanda “cosa si sta immaginando il protagonista e cosa è effettivamente reale?” e appare che il confine tra le due cose sia sottilissimo. Ora siamo arrivati, comunque, nella fase zombesca dell’asserragliamento nel centro commerciale, inevitabile. Lettura comunque spassosa.

Di così così:

Dylan Dog 3, Le notti della luna piena, di Tiziano Sclavi e Montanari & Grassani: in realtà questo Dylan Dog ha anche una bella sceneggiatura, con un paio di bei colpi di scena (Groucho imprigionato dalla strega mentre racconta la barzelletta, il ragazzo ritardato visto con compassione e che agisce da risolutore – tema poi molto sfruttato da Sclavi), ma io Montanari & Grassani, così rigidi e privi di espressività, proprio non li reggo e fanno perdere un sacco di punti.

Nodame Cantabile v. 23 di Tomoko Ninomiya: ultimo numero della serie regolare (ci saranno poi due speciali).  Avrebbe potuto finire in uno qualsiasi dei 5-6 numero precedenti, ma, come si usa in Giappone, c’è voluto un editor che dicesse “stop” in un momento pseudocasuale. In questo senso, lo scioglimento così atteso e telefonato perde molto di pathos, ma comunque un pochino ci si commuove lo stesso. E’ proprio impossibile non affezionarsi a Nodame!

Cornuti e mazziati

Alassio, Alassio (nel senso di “squadra di calcio dell’Alassio”), 1984 circa

L’allenatore spiega ai ragazzetti come bisogna comportarsi in caso di calcio d’angolo.
– Dovete andare incontro alla palla e incornarla in rete.

Un tizio spiritoso con la testa rotonda fa la battuta:
– Ecco perché si chiama “corner”!
Non fa ridere, e infatti non rise nessuno, ma io mi sentii in dovere di correggerlo:
No, deriva dall’inglese “corner”, che vuol dire angolo.

Pronunziai anche “corner” non come lo pronuncerebbe chiunque ha un’infarinatura di inglese, ma piuttosto “co-na”, come l’avevo sentito dire dall’insegnante di inglese Rossana, che ci aveva appunto spiegato questa curiosità.
L’anonimo spiritoso mi guardò con un po’ di pietà ma, scornato, stette zitto.

Ecco. Vorrei avere una macchina del tempo per tornare indietro e farmi del bullismo da solo.

Letture al sole II

Weekend di pochi volumi, ma di buona qualità media. Sono soddisfatto.

Di bello:

Habibi, di Craig Thompson: questo monumentale volume di quasi 700 pagine è rimasto in attesa di lettura dallo scorso Lucca Comics, forse perché ero spaventato dalla mole. E’ un vero e proprio romanzo grafico: romanzo, per il carattere di storia autoconclusiva con un ampio arco, e grafico non solo perché è un fumetto ma anche per il modo in cui la calligrafia araba è parte della storia. E il mondo arabo è il vero protagonista, in un curioso melange tra quello classico da Mille e una notte e quello moderno. Vediamo quindi grattacieli, bidonville in mezzo alla spazzatura e motorette accanto a eunuchi, sultani, harem e scribi. La storia è un po’ meno originale, parla di un rapporto un po’ contorto tra due persone, come si perdono e poi si ritrovano, il tutto che ruota intorno ai tanti modi possibili di dare e ricevere amore. Un gran bel fumetto.

Appartment vol.2, di Kang Full: secondo volume che conclude la storia horror di cui ho parlato la settimana scorsa, non svacca affatto quando si iniziano a scoprire le cose, e l’orchestrazione mediante i diversi punti di vista diventa sempre più complessa e interessante. Non ultimo, il fumetto ha anche una sua morale niente affatto trascurabile, e si usa spesso la parola psicopompo che è buffissima. Ancora più consigliato.

Golgo 13 vol.2, di Takao Saito: secondo volume su 3 di un “Best of” di Golgo 13, un fumetto noir giapponese (un gekiga più che un manga) pubblicato ancora oggi  a partire dal 1969. Impossibile tradurlo tutto, ma le storie scelte dall’autore e pubblicate in tre volumi sono davvero belle. In questo volume, in particolare, spicca la prima, lunga storia focalizzata sul destino dei Romanov intrecciata con una spy story particolarmente intricata, e una breve storia di vendette mafiose ambientata nel deserto americano.

Dylan Dog n.1, L’alba dei morti viventi di Tiziano Sclavi e Angelo Stano: mentre mi preparavo il caffè, mi è caduto l’occhi su una libreria e mi son detto “Ehi, ma da quanto tempo è che non mi rileggo il Dylan Dog dei tempi d’oro?”, ho afferrato il numero 1 e l’ho riletto. Non so dire quanto e cosa rileggerò di questa serie, ma intanto iniziamo con questo. A me piace poco Stano. Anche quando si impegna, come in questo albo, trovo i suoi disegni sgraziati e poco adatti alla narrazione. E inoltre il difetto principale di Dylan Dog, l’eccessivo citazionismo (o, potremmo dire, il servilismo nei confronti del cinema) è ben presente nella storia, tanto che le scene di azione e horror sembrano copiate da un distillato di film horror. Eppure i dialoghi sono perfetti, c’è umorismo, ironia, una scrittura di gran qualità, i personaggi sono introdotti con classe e naturalezza. Il primo Dylan Dog si legge ancora con grandissimo piacere cinque lustri dopo.

Di così così:

Le petit sale con di Madet: ion apparenza un fumetto semi-erotico con protagonisti animali antropomorfi, è in realtà la storia di una relazione nata male, proseguita peggio e finita, ovviamente, malissimo. Forse la cosa più interessante è l’analisi di come i due si rendano conto da subito che non funzionerà, né a letto né fuori, ma insistono comunque in una sorta di masochismo.

Nodame Cantabile vol. 22 di Tomoko Ninomiya: quasi giunto alla fine con un po’ di stanchezza questo manga per signorine cresciutelle (ditemi voi come si chiamano gli shojo per universitarie!) ambientato nel mondo della musica classica. Io ho l’impressione che, cercando di far evolvere i personaggi che erano delineati molto chiaramente, l’autrice abbia finito per snaturarli. Ma vedremo come finisce.

Notes, tome 2 di Boulet: originariamente pubblicato sul suo blog, Boulet (disegnatore del Donjon Zenith dopo che Trondheim ci ha mollato) raccoglie micro storie autobiografiche che spesso diventano dei carnet di viaggio, ma fa anche lo sforzo di crearci una cornice intorno, per la verità non molto riuscita. Interessante la varietà di stili di disegno che Boulet sfoggia, mentre le storie non sono malaccio ma mancano dell’incisività dei migliori diari di Trondheim o Sfar. Scritto in un francese colloquiale a volte piuttosto ostico, ma interessante da affrontare.

Di brutto:

Niente! :)

Annecy 2012 parte III: Il resto

Rieccoci qua. Partiamo con una scorsa ai cortrometraggi fuori concorso, che hanno regalato, come sempre, qualche sorpresa interessante. Intanto, parliamo di qualche grosso nome non in concorso. Perché non sono in concorso? Ce lo chiediamo un po’ tutti, forse per loro scelta? Boh! Innanzitutto, sua maestà Bruno Bozzetto. Forse inizia a essere un po’ anzianotto per realizzare animazione, che è fatta in pratica da qualcun altro, ma le idee, l’intelligenza e l’inimitabile sguardo satirico sono i suoi: Rapsodeus (a sinistra) sembra un episodio nuovo di Allegro non troppo, con un brano di Listz, ripercorrendo la strada dell’umanità che cerca sempre qualcosa. Bellissimo. C’è poi Paul Bush, che con Lay Bare fa quel che fa sempre, animando foto (in questo caso particolari del corpo umano), ma con la sua solita classe. E’ riuscito quasi a commuovermi con foto di ombelichi e di orecchie. Davvero mediocre invece il lavoro di Paul Driessen, che realizza una rilettura dell’ Oedipus incasinata e priva di mordente. Me lo sono pure dormicchiato. Ultimo da citare è Georges Schwizgebel, che ci regala ancora uno dei suoi voli pindarici con Romance (a destra). Come per altri citati, non inventa nulla di nuovo, ma lo fa benissimo, con grazia e poesia.

Al d là dei nomi famosi, qualche citazione sparsa sempre dai corti fuori concorso. (Notes on) biology di Danny Madden (USA) è una divertente variazione sul tema dei “flipper” (le animazioni fatte sugli angoli dei quaderni che vengono fatti scorrere rapidamente), arrivando a conquistare l’intero quaderno con elefanti a razzo. The Maker di Christopher Kezelos (Australia, USA) è una graziosa interpretazione del tema della reincarnazione, fatto con pupazzi in uno stile che deve qualcosa a Tim Burton. Grain Coupon di Xi Chen e Xu An (Cina), temutissimo per i suoi 19′ di lunghezza, è memorabile per essere forse il primo corto cinese che ho visto a non fracassarmi troppo la minchia, anche se ci ho messo metà film a capire che uno dei due personaggi è una donna. Parla di due artigiani a cui viene chiesto di falsificare un francobollo.

Proseguendo i corti fuori concorso, c’è Flamingo Fierté (di Tomer Eshed, Germania) che è scemo forte, ma è anche un sacco rosa, e parla dell’unico fenicottero etero in un gay pride di fenicotteri omosessuali. Divertente. Chiruri di Kenji Kawasaki è una curiosa contaminazione di tematiche e design giapponesi mainstream con ritmi e atmosfere più rarefatte e difficili da trovare negli anime. Interessante anche The Pub (Joseph Pierce, UK) che racconta della giornata in un pub di una pubbista, e nel modo in cui lei trasfigura le persone con cui ha a che fare. Proiettato nella serata finale, infine, un corto mainstream, un piccolo seguito del discreto Rapunzel intitolato Tangled ever after. Ok, è un corto di inseguimenti rocamboleschi come ne abbiam visti mille, ma si ride proprio tanto.

Anche quest’anno mi son visto una bella fetta di TV, e ci sono diverse cose da menzionare. Stella and Sam “Voyage sur la lune” è una graziosa intepretazione dei giochi per bambini. Certo, chiunque abbia letto Calvin & Hobbes sospirerà, ma è un sacco kawaii e lo spirito è quello giusto. The Gruffalo Child, produzione inglese direi ad alto budget, è uno specialone di mezzoretta tratto da un romanzo per bambini narrato da Helena Bonham Carter. Fa un sacco di tenerezza, diverte e insegna. Che si vuole di più? Premio meritato. Come è strameritato il premio a Secret Mountain Fort Awesome “Nightmare Sauce”, una folle folle storia impossibile da riassumere su una serie di mostri e il loro rapporto con gli incubi, in uno stile che ricorda il Robert Crumb più strafatto e con una serie sorprendente di trovate per una serie tv. C’è spazio anche per un anime shonen, Blue Exorcist, di cui vediamo il primo episodio. Molto canonico nei temi e nella realizzazione (demoni, botte, divise scolastiche) ma più piacevole da vedere del previsto. Ci ha inoltre insegnato che Azatoth tira con la fionda ai gatti.

Concludo la trattazione parlando un po’ delle rassegne. Già dissi all’inizio che non ho cagato la povera Irlanda, ma ho visto altre cose. C’è stata serie di tre programmi dedicati all’amore: amore cortese, amore “pepato” e amore in musica. Curiosamente, il primo era mediocre mentre gli altri due proprio graziosi, me li sono davvero goduti. E dopo un po’ di anni che non lo consideravo, mi son deciso a rivedere lo Spike and Mike’s Sick and Twisted Animation Show confidando nel fatto che col tempo cambia anche il programma. Non del tutto, alcune cose erano proprio vetuste, ma complice l’atmosfera particolarmente gaia e goliardica del pubblico mi sono divertito tantissimo. E lascio per ultimissimo uno dei miei grandi amori. Non mi stanco di ripetere che genio sia Borge Ringe e come i suoi tre cortometraggi (Oh my darling, Anna & Bella, Run of the mills) debbano essere imparati a memoria, quindi un suo programma monografico me lo sono visto. E’ stato integrato con altri suoi lavori (non all’altezza, va detto) e con un documentario solo parzialmente interessante e un po’ fuori fuoco. Una nota di biasimo per la pessima qualità della proiezione, in alcuni casi i quadrettoni mpeg sembravano da Youtube.

All’anno prossimo!

Letture al sole I

Due parole su quel che ho letto lo scorso weekend, spaparanzato sulla sdraio al sole. Dura la vita. Vediamo se avrò voglia di farne una rubrica regolare, ché qui si pisola troppo.

Di bello:

Valentina Melaverde v.4, di Grazia Nidasio: Valentina Melaverde è meraviglioso. Le piccole grandi avventure di una tredicenne in una città negli anni ’70. Un fumetto splendidamente anni ’70, con lo spirito del tempo ma ancora moderno. E poi è proprio divertente e ben disegnato.

L’appartement v.1, di Kung Full: un horror coreano che mi son procurato nell’edizione francese, dopo che in Italia la serie è stata iniziata e subito abbandonata. Un disoccupato scopre che ogni giorno, alle 21.56, in alcuni appartamenti si spegne la luce. Indaga la cosa e scoprirà questioni inquietanti. E poi cambia il punto di vista… Fa un sacco di paura ed è costruito davvero in modo entusiasmante. Non vedo l’ora di finirlo.

Ralph Azam v.1-3 di Lewis Trondheim: il nuovo fantasy di Trondheim, dopo che ha, ahimé, abbandonato il Donjon, ne riprende lo spirito di follia, invenzioni e un po’ di sadismo nei confronti dei suoi personaggi. Si legge che è un piacere.

Di brutto:

Deadpool v.1 di David Lapham e Kyle Baker: io i supereroi non li reggo più in nessuna forma, neppure in quelle revisioniste / sopra le righe/ postmoderne. Ho provato a concedere un’eccezione per questo per uno scrittore che mi piace con uno dei miei disegnatori preferiti, ma no. Supereroi, no.

Io sono Legione di John Cassaday e Fabrien Nury: horror, fantastoria e spionaggio sono ingredienti che se mescolati hanno del potenziale, ma in questo caso son stati sfruttati proprio male. Trama confusissima, con personaggi che appaiono agire a casaccio e Dracula tirato fuori dal cappello (ma no? quando inizia una storia in Romania, si sa che finisce sempre lì). Pffff, ho fatto proprio fatica a finirrlo…

Darwin di Paola Barbato e Luigi Piccatto: a me le storie apocalittiche piacciono un sacco, ma questa mi ha fatto proprio rizzare i capelli per la sciatteria, la confusione, la povertà dei dialoghi, la banalità dei personaggi e delle situazioni. Salvo solo l’idea, da quel che so inedita, di una Parigi post-apopocalittica (con inevitabile visita a Tour Eiffel e Louvre!) e i disegni di Piccatto.

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