xxmiglia.com's
uFAQ
Scrivermi?
Categorie
Ricerca

Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
Il mondo reso facile

Secondo quanto si diceva ad Alassio nei primi anni ’80, se hai l’orecchino a destra sei drogato, se ce l’hai a sinistra sei frocio.
E pensare che ci sono genitori che si dannano per capire se il proprio figlio è gay o tossicodipendente, quando c’è una soluzione così ovvia a portata di mano. Vox populi.

Decalogo del cinefilo integralista

Primo
I film si vedono solo al cinema. E’ ammesso il DVD per vedere i film in lingua originale quando altrimenti non sarebbe possibile. Bandita rigorosamente la TV tradizionale, che inserisce le pubblicità (di solito male, ma è irrilevante) e taglia pezzi di film. E’ al vaglio uno studio che stabilisca se sono ammissibili la pay-TV e i DivX, ma nel dubbio è meglio evitare.

Secondo
Il cinema non è un evento sociale. Si va al cinema per vedere un film, non per intrattenersi con altre persone. Quindi, è meglio andarci da soli.

Terzo
Al cinema non si produce il minimo rumore. Non solo non si parla mai, per nessuna ragione, non solo il cellulare viene tenuto spento (e non in vibrazione, può comunque recare disturbo), ma non si mangia niente (nemmeno caramelle) ed è vietato tossire o starnutire. Se state male, imbottitevi di medicinali o rimanete a casa. Le risa e i pianti, quando i film li richiedono, sono ammessi ma con discrezione.

Quarto
I film si vedono dall’inizio alla fine senza interruzioni. Alvy Singer e Michele Apicella vengono personalmente a picchiarvi a casa (minaccia poco spaventosa, si dirà!) se arrivate in ritardo anche solo di cinque secondi dall’inizio del film. E’ auspicabile, ma non obbligatorio, vedere anche gli Opus Proclama e i trailer precedenti l’inizio della proiezione vera e propria. Nei cinema che tradizionalmente iniziano 10-15′ dopo l’orario è comunque obbligatorio andare nell’orario indicato. Non si sa mai.

Quinto
I titoli di coda si vedono per intero. Fanno parte del film e spesso portano alcuni indizi utili a interpretare il film e la sua realizzazione, per non parlare di quando, come nel remake de L’alba dei morti viventi, il vero finale è durante i titoli di coda. Inoltre la visione dei titoli è un segno di rispetto per tutte le persone che hanno lavorato al film. Ultimo ma non meno importante, chi non guarda i titoli di coda viene colpito dalla maledizione del Best Boy: i Best Boy che lavorano ad ogni film la invocano e le peggiori disgrazie capitano a chi non legge i loro nomi.

Sesto
Nella scelta del cinema, considerare i seguenti parametri, oltre agli ovvi parametri di qualità audio/video:
– un cinema che fa l’intervallo tra il primo e il secondo tempo è da evitare.
– evitare i multisala solo perché sono antipatici.
– scegliere uno spettacolo il meno affollato possibile: possibilmente un pomeridiano (ma non di domenica) e non di mercoledì.
– la comodità delle poltrone non è importante, una sedia troppo comoda può favorire la distrazione dal film. Solo per i film sopra i 120′ la si può considerare come parametro, perché i crampi alle gambe e al culo possono distrarre dalla visione.
– sono da evitare i cinema in cui la presenza di uno spettatore nella fila davanti oscura anche lo schermo anche in minima parte.

Settimo

Il film deve essere visto il più avanti possibile, nella prima fila in cui lo sguardo abbracci l’intero schermo, longitudinalmente situati nel mezzo. Nel caso ciò sia impossibile, meglio troppo avanti che troppo indietro, meglio troppo indietro che troppo di lato. I cinema che nel mezzo hanno il camminatoio (sempre più rari, per fortuna) sono da evitare.

Ottavo
Terminata la visione, il film può essere commentato con altre persone, ma ricordandosi che le sensazioni devono sempre marinare. Ogni commento deve quindi iniziare con: "Dovrei rifletterci un po’ sopra, ma…".

Nono
Appena possibile, la visione va registrata da qualche parte: in un database è l’ideale (si può usare anche quello dell’imdb, volendo), ma van bene anche un foglio excel, un documento di testo o un tradizionale quadernetto. Se il film non è stato visto in modo completo (per cause di forza maggiore) o in condizioni non accettabili, non va registrato e la visione va ritentata prima possibile

Decimo
Queste regole valgono per tutti i film, da Giovannona Coscialunga a Quarto Potere. Fanno solo eccezione i film degli autori che se la tirano troppo, come Michael Haneke (Funny Games) o Godrey Reggio (Koyaanisqatsi), i quali per sberleffo non meritano la visione dei titoli di coda.

PS: ho scritto queste regole interrompendo la visione a 1h:35′ di Cape Fear di Scorsese, quindi al climax del film, visto in dvd in italiano, durante il quale ho anche bevuto un tè e sono andato in bagno senza mettere in pausa.

Analisi della Settimana Enigmistica: terza parte

3. I rebus

Nonostante quello che i lettori più maliziosi potrebbero pensare, "L’antologia di Edipo" di pagina 10 non è una sfilata di persone che si vogliono trombare la propria mamma, ma il posto principe per i rebus nella Settimana Enigmistica. I rebus concettualmente sono molto simili alla categoria degli enigmi in versi, ma la palese differenza strutturale (cioè la presenza di un disegno) li distingue parzialmente, e fa sì che essi ricadano in due locazioni, all’interno della "Sfinge" (vedi il capitolo 2) ma anche in altri posti ad essi dedicati: nella citata "Antologia di Epido" e nelle variazioni "Stereoscopico" a pagina 40 e "Anarebus" a pagina 6. Come da tradizione dell’intera rivista, i rebus all’interno delle "Sfingi" verso l’inizio sono più facili di quelli verso la fine.
Un rebus è composto da una vignetta con alcune lettere poste sopra alcuni oggetti. Il disegno è sempre in stile realistico, ripassato a china al tratto e di qualità media piuttosto buona: magari non verrebbe accettato da Bonelli, ma è di solito meglio di gran parte dei disegni nei fumetti porno o di paninari. La composizione della vignetta inoltre deve prevedere la giustapposizione di diversi oggetti, quindi spesso è necessario studiarla con attenzione perché elementi di diverse proporzioni possano essere messi nel corretto ordine: la sovrapposizione dei piani prospettici a volte non è certamente elementare.

I rebus non sono di solito particolarmente ermetici nelle loro risoluzioni (ovvio, ci sono quelli facili e quelli difficili!), ma necessitano di un minimo di iniziazione. Personalmente, ho sempre saputo come funziona il meccanismo dei rebus ma più di una volta mi sono sorpreso nel dover illustrare i principi basilari della risoluzione dei rebus a persone insospettabili. Insomma, quello che a me pare lampante e di per sè evidente, la costruzione di frasi mediante lettere e parole desunte dalle immagini ricombinando la struttura dei termini in parole dal numero di lettere indicato in testata, forse così ovvio non è.

È pur vero che i rebus hanno alcune convenzioni che solo l’esperienza può insegnare, dal punto di vista strutturale e da quello lessicale.
Per quello strutturale, esistono alcune regole che vanno conosciute: ad esempio, i rebus si leggono da sinistra a destra e dall’alto in basso. Pare ovvio, ma è importante vedere che la posizione delle lettere rispetto all’oggetto a cui fanno riferimento può indicare anche se esse vanno prima o dopo la parola. Quando è esattamente sopra l’oggetto, in genere vanno poste prima se l’oggetto è all’inizio della frase, dopo altrimenti, ma non c’è una regola precisa.
Esistono poi alcune regole per le lettere: infatti un parametro per giudicare la qualità di un rebus è di valutare quante lettere sono presenti. Una buona soluzione deve averne poche, ma non troppo poche (almeno una per ogni oggetto). E per risparmiare lettere esistono alcuni trucchi: due lettere poste una accanto all’altra si leggono insieme (anche se possono essere ovviamente separate in due parole differenti) ma se sono separate da uno spazio si sottindende una congiunzione "e". Ad esempio "N S" diventa il gruppo "nes". Meno comune è l’espediente di scrivere una lettera piccola e rialzata rispetto ad un’altra, mimando un esponente: in tal caso si legge "a". Ad esempio "NS" diventa "nas". Per mimare la lettera "a", infine, si usa anche il poco ortodosso trucco di mettere un oggetto in mano ad una persona, sottintendendo il verbo avere "ha" che perde l’"h" nella costruzione della soluzione. Può far rabbrividire i puristi, ma è interessante notare che è uno dei pochissimi mezzi che si ha in italiano per giocare con le pronunce multiple, cosa che invece è la base dei rebus in inglese e in francese.

Dal punto di vista lessicale, alcuna parole ricorrono con maggiore frequenza di altre spesso nei loro sinonimi meno consueti. Il mondo dei rebus è un mondo popolato di altari sparsi in mezzo alla campagna, spesso in coppia (are), di armadi aperti o persiane spalancate (ante), di bugiardi matricolati o di bevande rinfrescanti (mente): questi tre elementi sono comunissimi perché compongono suffissi di vocaboli comuni in italiano (rispettivamente, verbi all’infinito o al participio presente e avverbi derivati da aggettivi).
Ma accanto a questi nel mondo dei rebus si trovano spesso donne con mani giunte e un rosario in mano (pie), bevande delle cinque del pomeriggio piazzate ovunque, quasi sempre della varietà "ceylon" chiaramente indicata (), panoramiche di Torino col fiume che lo attraversa in bella evidenza (Po), vecchiette o vecchietti (ave o avi), coltelli conficcati un po’ ovunque (lame).
Non mancano infine i riferimenti al mondo classico e operistico, con statue o manifesti di opere. In entrambi i casi, qualche indizio aiuta a capire di che si tratta: ad esempio, su una statua di Venere ci sarà scritto "La versione romana di Afrodite", o su un manifesto del Rigoletto il titolo sarà cancellato ma si scorgerà un gobbo chiosato da "Melodramma di Piave musica di G. Verdi" .
Inoltre, a differenza dei cruciverba, sono ammessi e sono comuni i verbi coniugati: una persona che compie una certa azione divente quel verbo alla terza persona singolare presente: un uomo che entra in un luogo è entra. In una variante dei rebus, gli "stereoscopici", si usa comunemente il passato remoto. Tali rebus, infatti, la cui definizione è curiosamente ripetuta ogni volta che compaiono ("Questo rebus è costituito da due vignette perché la sua soluzione deve essere determinata dal raffronto di esse"), prevedono che nella prima vignetta un personaggio compia un’azione, e nella seconda compaia di nuovo lo stesso personaggio a fare altro. Quasi sempre, la soluzione prevede che si usi il passato remoto delle prima azione in raffronto a quello che fa successivamente. La blanda relazione tra fumetti e rebus, esplicitata solamente nel concetto di costruzione della vignetta e nel senso di lettura, negli "stereoscopici" diventa più forte perché introduce il concetto di closure tra vignette.

I rebus hanno un aspetto comico: si provi ad osservare una vignetta senza considerarla come un enigma ma come se fosse un quadro. E allora si nota come, nella grande maggioranza dei casi, ci si trova di fronte a scene assurde in cui elementi palesemente incompatibili sono giustapposti solo in virtù di dover illustrare un enigma. Scene che rappresentano i soliti altari campestri accanto ai quali sostano delle iene, o gente che cala delle giare giù da una finestra,, o anziane torinesi in una campagna accanto al Po meditano di fronte ad una finestra aperta. Dev’essere brutto, vivere nel mondo dei rebus.
Tutti questi esempi sono rebus reali pubblicati sulla Settimana Enigmistica n. 3803. Vale la pena però analizzare a fondo il rebus 803138 (4,12,10) nello stesso numero come esempio globale di quasi tutto quello che è stato detto finora. Preferisco non includere l’immagine per questioni di copyright (tanto più che con quest’analisi della Settimana Enigmistica arrivano su questo sito non pochi googlatori enigmisti), quindi mi limito a descriverla.
Siamo in un bosco: su un sentiero camminano due donne con un velo in testa, le mani giunte, e ovviamente il rosario d’ordinanza. Campeggiano le due lettere TI su di esse. Accanto a loro, una scena bucolica: una famigliola fa un picnic. Le due figliole sono impegnate con uno scoiattolo. Una di esse, denominata S, è terrorizzata dall’animaletto tanto che dai brividi per la paura quasi non sta in piedi. L’altra, tanto anonima quanto stronza, ride. I genitori si accingono a preparare il pranzo: il papà si occupa dei beveraggi e, essendo un intenditore, ha deciso di pasteggiare con due enormi flaconi con su scritto "Piperita", contrassegnati dalle lettere IR, flaconi che tiene in braccio gelosamente. Il babbo si chiama S (come la figlia!). La mamma, anonima, è china su un cestino ricolmo di ogni ben di dio: un pollo, pane, salame. Tale abbondanza è LI.
Soluzione: TI pie S trema mente IR a S cibi LI; tipi estremamente irascibili. C’è di tutto, qui: le pie, le mente, il verbo alla terza persona, il verbo avere che bara, la scena ridicola. Sono quasi commosso!

PS: per chi se lo fosse chiesto…gli anarebus non sono i rebus anali. Sono i rebus anagrammati.

Misteri della vita XI

Ho trent’anni. Ho iniziato a radermi a quattordici, con una frequenza prima bisettimanale e poi, a partire dall’età di circa ventiquattro anni, pentasettimanale. In tutti questi anni ho consumato solamente due mezzi flaconi di dopobarba. Sono io che sono troppo tirchio o sono i produttori di dopobarba che ci vogliono puzzolenti come battone?

Just a perfect day
Quand’ero piccolo c’erano, ogni anno, almeno un paio di giorni di festa inaspettati: quelli in cui il termometro proclamava che era arrivata l’influenza. Si poteva allora stare a casa ad ingozzarsi di televisione, scoprendo quei meravigliosi quiz della mattina di Canale 5 che la scuola mi negava: Tuttinfamiglia, Bis, Il Pranzo è servito. Quando io gioivo per giornate del genere, mia mamma era lesta a sgridarmi: "Non bisogna mai essere felici di essere ammalati". Io annuivo, ma sotto sotto benedicevo quel 37.2 che, al prezzo di qualche colpo di tosse, mi permetteva tanto godimento.

Nell’adolescenza ho acquistato una salute di ferro e non ho più avuto una linea di febbre tra il 1989 e il 2004. Con l’avvicinarsi del trentesimo anno di età, il mio fisico ha ceduto e sia l’anno scorso che quest’anno qualche bacillo ha fatto breccia nella mia fortezza. Tuttavia, accanto alla triste consapevolezza del mio inevitabile declino fisico, è tornata la felicità di potermi prendere un giorno di "vacanza" dal lavoro. Quest’anno, in particolare, l’influenza mi ha colpito all’inizio di due giorni in cui ero fuori città per lavoro e non potevo proprio assentarmi; terminato questo sforzo, in cui ovviamente non ho fatto nessun passo verso la guarigione, finalmente ho passato una giornata a casa. Ed è stata una giornata bellissima. Sono riuscito a trovare il tempo per fare tantissime cose che relego a fatica nel tempo libero o che era tanto che rimandavo.

Ho guardato un intero dvd della 4. Stagione dei Simpson, episodi in inglese e poi commenti (8 episodi, quindi).
Ho fatto due lavatrici, una di cotoni colorati e una coi tappetini di bagno e cucina.
Ho montato una bellissima ruspa di Technic Lego (mi sono avanzati solo 5 pezzi, tutti piccoli e tutti diversi. Mi auguro che Mr. Lego li abbia messi di scorta in caso di smarrimento)
Ho scritto numerose mail, tutte brevi e che richiedevano scarso impegno, e ho cazzeggiato a lungo in internet.
Ho studiato un po’ di francese.
Ho cucinato un’ottima pasta col pescespada. Ho dimenticato di metterci le olive, peccato.
Ho rivisto un film che ho scoperto migliore di come lo ricordassi: Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio di Pedro Almodovar.
Ho chattato non poco con diverse persone, in particolare con una adorabile che però non mi legge. Pazienza.
Ho fatto una lunga doccia seguita da minuziosa toeletta.
Ho catalogato gli ultimi acquisti di libri e fumetti.
Ho visto la terza puntata di Desperate Housewives, la serie di moda al momento.
Ho persino dato una mano ai miei colleghi al lavoro che avevano bisogno di aiuto per alcuni problemi.

Per una bella coincidenza, ho rivisto proprio in quella giornata la puntata dei Simpson Homer l’eretico, in cui il buon panzone proclama "il giorno più bello della mia vita" quello in cui sta in casa a dedicarsi ad attività simili (dal suo punto di vista, ovviamente) invece che andare a messa. Già, il mondo è crudele, è bello lasciarlo fuori dalla porta. Ma prima o poi i viveri finiscono…

Misteri della vita X

Perché i treni intercity costano di più?

Mi spiego: il viaggiatore medio non prende l’intercity perché sia più bello o più confortevole, ma semplicemente perché ci mette di meno ad arrivare. E il convoglio non giunge a destinazione prima perché va più veloce: la struttura della rete ferroviaria, almeno dalle mie parti, non permette di superare certe velocità che sono raggiungibili tranquillamente anche dai locomotori dei trenini minori. No, arriva prima semplicemente perché fa meno fermate. Quindi io pago di più per un servizio mancato. Ridatemi i miei soldi.

Dopo »