xxmiglia.com's
uFAQ
Scrivermi?
Categorie
Ricerca

Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
Una vita a fare livelli

Questo è uno di quegli articoli che scrivo praticamente solo per me stesso, ben conscio che la probabilità che interessi a qualcuno dei miei lettori regolari è infima. Fatevene una ragione! :)

dq1.jpgDa un po’ di tempo ho ripreso a “perdere tempo” con un’attività che negli anni precedenti avevo abbandonato, e cioè i videogiochi. Sono abbastanza di vedute ristrette nell’argomento: gioco solamente col mio fido Nintendo DS (poiché per mio stile di vita sono spesso in giro e mi piace giocare in treno o a letto, e perché la Nintendo mi è molto più simpatica della Sony) e, in quanto ai titoli che scelgo, mi limito agli strategici a turni, qualche avventura o ai buoni vecchi giochi di ruolo alla giapponese (JRPG). Conseguenza di questo sono le invettive dei miei amici che non trovano mai giuochi adatti per “fare una partita” per dieci minuti, ma solamente giochi con lunghe presentazioni e con curve di apprendimento piuttosto lunghe. Seconda conseguenza è che sono un po’ indietro rispetto ai giochi moderni, quindi potrei dire nel seguito qualche banalità ampiamente sorpassata dall’attualità. Ne correrò il rischio.

Giusto sabato scorso ho finito un JRPG che mi ha colpito, e colgo qui l’occasione per farci su quattro chiacchiere. Spoiler a profusione sulla trama, quindi se avete intenzione di giocare a Dragon Quest V: Hand of the the heavenly bride forse è meglio se smettete di leggere. Già, perché, in quanto a gameplay, DG V non aggiunge praticamente nulla di nuovo. Chi è pratico di questo tipo di giochi sa come funzionano: hai un party di personaggi che, combattendo mostri, accumula esperienza e diventa sempre più forte. Il gioco consiste in pratica nel passaggio da un’area all’altra con mostri sempre più forti inframmezzato da visite a città, castelli, villaggi in cui puoi fare acquisti di oggetti per diventare più potente e parlare con la gente per capire dove sta il dungeon successivo. Certo, non mancano le varianti a questo schema di base e le diverse sezioni sono tenute insieme da una trama generale, che di solito è qualcosa del genere di un messianico “Tu sei il prescelto che deve salvare il mondo”; inoltre ogni gioco ha un suo tono generale che caratterizza dialoghi e personaggi. Riguardo quest’ultimo, io non ho mai amato i popolarissimi Final Fantasy perché trovo che tendano a essere troppo cupi e, soprattutto, a prendersi troppo sul serio; invece i Dragon Quest hanno molto più umorismo e ironia, con dialoghi vivaci e spesso sopra le righe e un design cartoonesco (addirittura creato da un nome celebre come Akira Toriyama, autore di Dragonball) che si adatta benissimo: non è raro trovare dei nemici che fanno le linguacce o che scorreggiano!

In realtà lo scopo generale di DG V è in pieno standard: c’è un’entità oscura che vuole conquistare il mondo e tu lo devi salvare. Quello che lo rende unico è il fatto che la trama si svolge lungo buona parte della vita di te in quanto protagonista; lo confesso: io ho un debole per le storie che si dipanano lungo archi di tempo consistenti, e amo per ragioni simili le saghe generazionali. Una trama che dura decenni e abbraccia tre generazioni non poteva quindi non colpirmi.

Il gioco inizia con la tua nascita, figlio di un re, evento che coincide col rapimento di tua madre e dell’esilio di tuo padre. Nella prima parte del gioco, tu sei un bambino che ha poca libertà di movimento in quanto costretto a obbedire a tuo padre e seguirlo nei suoi viaggi. E’ buffo combattere accanto al babbo poiché lui è enormemente più forte di te, quindi tu rimani lì e fai esperienza quasi gratis: una specie di metafora dell’infanzia, se si vuole. Ovviamente le cose si fanno leggermente più  sfidanti quando ti trovi da solo se scappi di notte per andare in un maniero infestato dai fantasmi o finisci sempre da solo nel Regno delle Fate, altrimenti sarebbe troppo facile! La tua infanzia finisce però all’improvviso quando, andando alla ricerca di un principe rapito, uno dei mega-cattivoni uccide tuo padre. Uno dei canoni dei JRPG costituisce nel cosiddetto “protagonista silente”. Il tuo personaggio non parla mai, al massimo risponde “sì” o “no” a domande esplicite: è una sorta di testimone di quello che gli accade intorno. La conseguenza è che l’interpretazione emotiva degli eventi è totalmente a carico del giocatore: il dramma di un bimbo che vede uccidere suo padre davanti è così molto più forte rispetto a un “Noooooooo” da film americano. E non finisce qui: il mega-cattivone fa l’errore dei cattivi da fumetto e ti lascia in vita, ma ridotto in schiavitù. Passano così dieci anni.

La seconda parte del gioco, la giovinezza, inizia quando alla fine riesci a scappare dal campo di lavoro dove eri prigioniero, usando lo stesso stratagemma del Conte di Montecristo. Come tutti i giovani adulti, a questo punto hai due interessi: uno, salvare il mondo, due, la patata.  Il primo va male: incredibilmente, si scopre che non sei TU il Prescelto, il salvatore del mondo; le armi e le armature che solo lui potrebbe usare a te non vanno bene! Va meglio la seconda parte, invece, perché incontri più ragazze e a un certo punto ti ritrovi a scegliere chi sposare: la vivace amica d’infanzia, il dolce e timido angelo o la ribelle figlia del ricco del paese. Riflettono un po’ i canoni delle ragazze degli shoonen manga; la trama non cambia a seconda di chi scegli, se non il fatto che nel tuo party entra qualcuno con abilità differenti. Io ho scelto Bianca, l’amica d’infanzia: nulla di personale contro gli angeli e le ricche viziate, per carità! A questo punto continui ad andare in giro con tua moglie per scoprire chi diamine è il Prescelto, visto che non sei tu. Tra una cosa e l’altra, ritorni a occupare il trono che era di tuo padre e…ta-dah! Diventi papà di due bellissimi gemelli! Purtroppo, durante i festeggiamenti dopo la nascita, avviene il secondo grande dramma. Tua moglie, esattamente come tua madre tanti anni prima, viene rapita. La insegui, la trovi, la salvi dal boss nemico, quand’ecco che rispunta lo stesso mega-cattivone che ha ucciso tuo padre anni prima. Ed è ancora troppo forte per te: senza problemi, trasforma in pietra te e tua moglie, e se ne va. Venite poco dopo scambiati per statue da due avventurieri di passaggio e venduti all’asta, separati. Non viene mai detto esplicitamente se tu, in quanto personaggio, rimani cosciente mentre sei pietrificato, ma si lascia intuire che se tu, in qualità di giocatore, assisti a queste scene, allora lo fa anche il tuo personaggio. La scena successiva è probabilmente la più drammatica di tutto il gioco: il tuo acquirente è un ricco mercante che ti piazza in cortile come una specie di nano da giardino. Questo mercante ha appena avuto un bambino, e mentre passano gli anni e le stagioni lo vedi crescere, imparare a camminare, a parlare. Si intuisce quindi il dolore del protagonista che ha appena avuto due bimbi ed è stato separato da loro, e si sta perdendo la gioia di vederli crescere. Passano così altri dieci anni…

La terza parte, la maturità, a questo punto, diventa la più tradizionale, verso lo scioglimento finale (*). Alla fine vieni scovato e liberato dai tuoi figli, e continui le tue avventure con loro. In particolare si scopre che il famoso Prescelto non è altri che il tuo figlio maschio, e poi trovi finalmente tua moglie e liberi dalla pietrificazione anche lei, e alla fine si tratta solo di far fuori i cattivoni finali. C’è solo tempo per ancora un momento di commozione quando ritrovi tua madre solo per perderla subito dopo nel suo disperato tentativo di fermare il boss finale, ma intanto ci pensi tu (tra l’altro è un boss finale particolarmente semplice, l’ho fatto fuori al primo tentativo!). E poi il lieto fine.

Ora, capiamoci: mi rendo conto che questa non è letteratura. Se ci fosse un libro, un film o un fumetto che narra le stesse cose verrebbe tacciato di estrema banalità. Quello che però il videogioco è in grado di fare è di dare all’utente un’identificazione molto maggiore, e quasi l’illusione di poter controllare la storia. In fondo, le possibilità di questo mezzo sono grandiose, e probabilmente siamo appena all’inizio.

(*) Non credo che sia un caso che la struttura del gioco in tre atti ricalchi quella dei film secondo i manuali di sceneggiatura: introduzione, svolgimento/crisi, scioglimento/lieto fine.