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Coincidenze

“Cosa dice una cassaforte che incontra un’altra cassaforte?” “Che combinazione!”
Groucho, in uno dei primi Dylan Dog (oppure è Death – The high cost of living anche questo?)

Da piccolo avevo una piccola grande passione per le coincidenze. Sentivo qualcosa di potente, forse di sovrannaturale nel fatto che due eventi apparentemente slegati potessero essere messi in relazione. Ricordo la gioia il giorno che ho scoperto che la mia maestra Suor Maddalena era nata lo stesso giorno di mio padre. Ogni volta che iniziavo un libro (il che avveniva spesso, da bambino ero un lettore formidabile), avevo la mania di mettere in relazione la prima e l’ultima frase per trarne chissà qualche portento. Ovviamente non ho mai ottenuto nulla di interessante, se non spoiler su numerosi romanzi.

Crescendo ho smesso di dare significati assurdi alle coincidenze (al contrario di un fesso regista indo-americano, autore del più stupido e brutto film degli ultimi anni), ma non di trovarle divertenti quando si verificano e porre attenzione a eventi del genere.
E, in particolare, c’è un tipo di coincidenza che mi colpisce sempre: quando un avvenimento mai successo si ripete a distanza di breve tempo in modo totalmente slegato o, analogamente, quando recepisco un’informazione precedentemente ignota più volte in un breve arco di tempo da fonti indipendenti. Dato che è un po’ scomodo riferirsi a definizioni del genere e che non esiste una parola per indicare eventi simili, ne conierò una adesso, chiamandoli bieventi.

Un esempio del primo tipo di bievento mi è successo alla fiera di fumetti Cartoomics nel marzo 2004. Lì acquistai sottocosto un volume in inglese di raccolta di storie brevi della Dark Horse. In seguito, sfogliandolo, mi accorsi che vi mancava un sedicesimo per un errore di rilegatura: avendolo pagato una miseria ed essendo composto di raccontini, decisi di fregarmene e di tenerlo lo stesso. Tuttavia, pur sapendo che sono cose che succedono, era la prima volta che mi accadeva nella mia carriera di collezionista di fumetti (oltre 4200 pezzi). La sera stessa, tornando a casa, acquistai in edicola il numero 6 del fumetto Storia del West di Gino D’Antonio. Arrivato a casa, sfogliandolo, mi accorsi che mancava un sedicesimo anche a quello!
Un altro esempio meno particolare e sicuramente più comune è quando non incontriamo una persona per anni e poi, all’improvviso, ci compare davanti per caso a breve distanza due volte.
Esempi del secondo tipo, quello sulla coincidenza, sono ancora più comuni. Quello che mi piace ricordare riguarda me, circa dodicenne, che, a casa di mia nonna sfoglio la rivista “Oggi” e apprendo di una specie di ballo sudamericano chiamato Bossa Nova, mai sentito nominare in precedenza. Poco dopo, la televisione annuncia “E ora sentiremo un pezzo di Bossa Nova!”.
Ovviamente questi sono esemplificazioni. Fateci caso, capitano abbastanza spesso, almeno una volta ogni 10-20 giorni si presenta un bievento.

Il secondo tipo di bievento ha una spiegazione piuttosto semplice: quando viene recepita un’informazione nuova è più facile che un’eventuale ripetizione della stessa conoscenza ci colpisca di più, laddove in altre circostanze sarebbe totalmente ignorata. E’ possibilissimo che in TV ci fosse un ciclo di Bossa Nova che andava avanti da un mese e io non avevo mai fatto caso a questo dato! Oppure, l’indipendenza delle fonti non è così forte come appare: non è da escludere che intorno a metà degli anni ’80 per un breve periodo la Bossa Nova fosse di moda e se ne parlasse abbastanza in diversi media.
Il primo tipo invece, essendo indipendente dalle facoltà di percezione, secondo me necessita di una spiegazione più articolata basata sulle leggi della probabilità: si tratta di una versione del paradosso del compleanno.
Qual è la probabilità che, in una stanza di venti persone, due di esse compiano gli anni lo stesso giorno? In modo totalmente controintuitivo, è intorno al 50%. Se ci pensate, tra le vostre classi delle elementari, medie e superiori, è molto probabile che ci siano dei compleanni coincidenti: per quanto mi riguarda, Alessandro M. e Cesare R., nelle elementari, avevano il compleanno il 26 giugno (e si facevano guerra per fare feste). Questa probabilità così alta è dovuta al fatto che è lasciata libera la variabile del giorno: estremamente minore sarebbe la probabilità che due persone compiano gli anni in un determinato giorno.
Questo è quello che accade per i bieventi: tra tutte le cose che ci succedono ogni giorno, lasciando libera la variabile del tipo di evento, la probabilità che succeda qualcosa di nuovo due volte non è così bassa. Fissando invece un determinato evento le probabilità diventano minime: credo che non mi capiterà mai più di reincontrare due sedicesimi mancanti lo stesso giorno!

Ok, più di una persona mi ha detto che penso troppo e vivo troppo poco…forse hanno ragione!

Update : il nuovo nome per il bievento è ringiorgino.

Zia Adelina

La famiglia di mia mamma è sempre stata matriarcale. Da piccolo ero circondato da uno stuolo di signore attempate che per semplicità chiamavo zie, ma che probabilmente spesso non erano nemmeno legalmente mie parenti. La natura ha purtroppo fatto il suo corso, e ora me ne ritrovo molte di meno, ma non posso non ricordare zia Lidia (era zia di mia nonna), zia Franca (cugina di mia nonna, ancora in vita e in ottima forma), zia Marianina (siciliana e centenaria, probabilmente zia di mio nonno), zia Mavi (più giovane, cugina prima di mia mamma), zia Frida (moglie del cugino di mia nonna), più altre figure che sono un po’ più nebulose, tra cui zia Enrichetta e zia Vigina, che non vedevo quasi mai.
Ehi mamma, come sta zia Vigina? E’ un po’ che non la vedo!
E’ morta due anni fa.
D’oh!
Quasi tutte queste zie erano zitelle o vedove. Ripensandoci, la cosa è un po’ inquietante. Tutti i maschi del clan Bielli probabilmente dovrebbero toccarsi un po’ le balle.

Principessa delle zie zitelle era zia Adelina. Zia di mia nonna (quindi mia proprozia), quand’ero piccolo mi pareva vecchissima. Era nata nel 1899, quindi quando io la frequentavo era poco più che ottantenne, età più che rispettabile ma tutto sommato non così rara. Si trattava di una tipica vecchietta, piccolina e pettinata con lo chignon, praticamente una copia di Zia May di Spider-Man. E ha segnato la mia esistenza.
Come molte persone che hanno conosciuto la guerra (e lei ne aveva viste ben due), zia Adelina era molto preoccupata per la Fame e, non avendo di che sfogare le proprie paure nell’opulenta Italia di Craxi, voleva risolvere il problema della Fame nel Mondo. La sua personale soluzione era di far mangiare ai propri nipoti tutto quello che c’era nel piatto.
– Mangia! Pensa ai bambini che hanno fame!
Ma zia, cosa cambia per loro se io ingurgito queste quattro orribili carote? Non sarebbe piuttosto meglio assicurarsi che gli aiuti dei paesi occidentali non vengano spesi in armamenti, oppure cancellare i debiti che strozzano quei paesi, o insistere per un controllo dello sviluppo demografico, oppure ancora dare degli incentivi alle aziende per investire e garantire uno sviluppo? (questo è uno splendido esempio di Esprit d’escalier. Quello che in realtà dicevo era "Ma zia, le carote sono cattive!")
– Mangia! Pensa ai bambini che hanno fame!

E così fu. Ancora adesso devo fare sforzi enormi per lasciare qualcosa nel piatto, arrivando a raccogliere il singolo chicco di riso e facendo scarpetta fino ad avere un piatto lindo. A volte mi capita di mangiare fino a star male, e ovviamente tutto questo ha influenza sulla mia linea, e il fatto che sono sovrappeso ha implicazioni sulla mia vita sociale in questo mondo così superficiale. Maledetta zia Adelina, è tutta colpa tua.

Lenzuola firmate

Io non parlo molto bene. Il Signore Iddio da questo punto di vista non è stato generoso (e anche da altri, i miei detrattori aggiungeranno): non solo sono piuttosto balbuziente, ma pronuncio male sia sia la "elle" che la "erre", tanto che quando devo dire la via in cui abito, "Aleramo", mi ritrovo spesso a dover fare lo spelling (Ancona Livorno Empoli Roma Ancona Modena Otranto, che cazzo!).
Ciononostante, mi piacerebbe indagare il processo attraverso il quale lo standista della Coconino Press a Lucca Comics 2004 abbia trasformato il mio cognome "Ventimiglia", che pur non essendo comunissimo è sensato, in uno pseudo-fiammingo Van Zella. Beh, tutto sommato suona bene, pare il risultato di un’avventura di un bagnino di Rimini con un’olandese in vacanza.
Il mio cognome serviva a quel signore per farmi dedicare il volume Blankets di Craig Thompson. Gliel’ho lasciato e sono tornato dopo un po’, scoprendo che nel biglietto che indicava che il volume è mio era stato redatto quell’errore (quell’orrore!), ma che fortunatamente mister Thompson ha avuto il buon senso di dedicarlo solo al mio nome. Fico. E’ il primo fumetto che ho dedicato a me: ne ho altri firmati, ma raccattati più o meno casualmente. Aprendo un volume di Cerebus trovato in offerta l’ho scoperto con l’autografo di Dave Sim (ok, lo fa con tutte le copie della prima edizione, non è così raro).

Blankets di Craig Thompson è un fumetto del genere autobiografico minimalista che è abbastanza di moda nella scena underground statunitense e canadese. Seth, Chester Brown, Howard Cruse, a modo suo anche una semi-celebrità come Daniel Clowes si dedicano a raccontare gli affari loro, e persino autori mainstream come De Matteis non disdegnano puntatine. Tutto sommato non è difficile capire il perché: parlando di se stessi è semplice esternare sensazioni che si conoscono bene, piuttosto che crearle dal nulla in personaggi inventati; inevitabilmente, quindi, le emozioni parranno molto vere. Ovviamente, vedendo la cosa da un altro punto di vista, c’è l’imbarazzo di divulgare le proprie esperienze. Molti autori si limitano a ricordi passati, sfumati e in qualche modo censurati, ma c’è chi, come Chester Brown, usa quasi violenza contro se stesso nel narrare gli episodi più imbarazzanti e inconfessabili. Dev’esserci qualcosa di terapeutico, in questo processo.

Il monumentale Blankets, quasi 600 pagine, è piuttosto moderato da questo punto di vista. Parla di argomenti difficili come la perdita della fede, il primo amore vissuto un po’ in ipocrisia, un rapporto coi genitori costellato di mancanza di comunicazione, ma tutto con gentilezza, con partecipazione ma senza affanno. La narrazione si muove tra il Craig bambino e i suoi rapporti col fratello e i genitori, e il Craig adolescente che conosce l’amore con Raina e vede il proprio mondo andare a pezzi.
Le lenzuola di cui si parla sono sia quelle dei letti sia le lenzuola di neve che coprono il nord degli Stati Uniti in cui è ambientata la vicenda: questi due luoghi, il letto caldo e rassicurante, e la neve nel suo gelido silenzio, fanno da cornice a gran parte degli avventimenti importanti della storia. Tutto il resto appare quasi sfuocato, quasi un contorno apparentemente irrilevante. Ma sarà proprio quel contorno a fare la differenza…
Il tratto di Thompson è ugualmente gentile, quasi timido: un bianco e nero molto sfumato con tecniche apparentemente simili al carboncino segna personaggi molto espressivi e sfondi appena abbozzati (intanto gli esterni sono quasi tutti nella neve!), con rare e violente deviazioni nell’espressionismo più tipico dell’underground americano (tipo Robert Crumb, per intenderci) quando i sentimenti o gli avvenimenti si fanno più forti.

Blankets, di Craig Thompson, Coconino Press, 590 pagine in b/n 17×24, brossurato con sovraccoperta, 29 euro.

Storie dalla scala macchine

Mi piace la lingua francese. Mi piace come suona, la vaga checchitudine di quell’accento con le "erre" arrotate; ammiro anche l’orgoglio e la nobiltà della lingua con una delle letterature più ricche del mondo. In attesa di trovare il tempo di studiarlo oltre la misera infarinatura che ho, mi accontento di parlarlo come l’Ispettore Clouseau: "avete una stonsa?". Ognuno si diverte come può!
C’è poi un’espressione in francese, che ho sentito anni fa in un vecchio Dylan Dog, che trovo esprima un concetto complesso ma luminoso nella sua sintesi: esprit d’escalier, spirito delle scale. Esso consiste nel rimuginare su una situazione che si è vissuta in cui non si ha avuto abbastanza prontezza di spirito per dire la cosa giusta al momento giusto. Quando poi si va via, percorrendo appunto le scale, è inevitabile rendere sempre più acuta e sferzante la risposta che non si è data.
Lo facciamo tutti, ed è anche un buon allenamento per la volta successiva in cui ci si troverà in una situazione del genere. E’ meno comune il lato patologico della situazione, quando cioè l’esprit d’escalier assurge a verità, in buona o mala fede.

Uno splendido esempio è dato da questo sito, Storie dalla sala macchine , in cui un signore, probabilmente un sistemista frustrato da un lavoro che in effetti richiede di aver a che fare con imbecilli e rompiballe, scrive tutto quello che avrebbe voluto fare in reazione ai suoi utenti (che chiama con disprezzo Clueless User) ma che, ovviamente, proprio non può. E allora sogna di strappare moduli in faccia, di rifiutargli favori elementari, di denunciarli ai superiori o semplicemente di mandarli a quel paese, spacciando tutto questo come "pura verità". Oddio, io spero che quest’uomo sia un mentecatto sognatore, perché uno si augura sempre che non ci siano persone che si comportano con tanta arroganza e maleducazione. Ciononostante, una volta assunto che si tratta di fiction (se preferite: di una camionata di balle), i raccontini sono piacevoli e divertenti da leggere, e raramente manco l’appuntamento il lunedì quando il sito viene aggiornato.

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