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Misteri della vita LXXXII: Un orangutango

Perché l’orangutango non è estinto?

Mi spiego. Tutti noi conosciamo i seguenti versi, monumento più duraturo del bronzo:

Ci son due coccodrilli ed un orangutango
due piccoli serpenti e l’aquila reale
il gatto il topo l’elefante
non manca più nessuno
solo non si vedono i due liocorni.

Gatti, topi, aquile ed elefanti  sono indicati con l’articolo determinativo che implica “la specie del gatto ecc.”, mentre il povero orangutango è proprio da solo, non ci sono dubbi. Forse è un orangutango immortale e dotato di dono dell’ubuquità? O si è riprodotto per partenogenesi? Oppure, ma non voglio nemmeno pensarci, continuiamo a mentire ai bambini insegnando loro una canzone fallace?

(lo so che avete il fiato sospeso per la seconda parte di Annecy, ma non ho fatto in tempo. Arriverà.)

Misteri della vita LXXXI: Di donne e di baffi

Donna baffuta, sempre piaciuta. Ma a chi?

Anche se magari in certe culture le donne baffute possono piacere,  questo è un proverbio italiano, la cultura è la nostra, e in generale le donne baffute non piacciono, quindi l’origine del proverbio mi è assai oscura.
L’unico spiraglio che vedo ad una spiegazione è dato dal proverbio “cugino”: Donna pelosa, donna virtuosa. Se una donna è pelosa, probabilmente è anche baffuta. Ne consegue che piace perché è virtuosa, e non per il suo aspetto fisico. Ora rimane però da dimostrare il lemma pelosa => virtuosa. Forse perché se una donna è pelosa non la vuole nessuno e quindi è fedele, e perciò virtuosa, o forse perché le suore, emblema di virtù, hanno i baffi. Ma, in tal caso, si contraddice l’ipotesi iniziale.
Sono confuso.

Annecy 2008 parte prima: Cosa c’era di bello quest’anno

(Ormai siete diventati grandi, il link per spiegare cosa diamine è il festival di animazione di Annecy non lo metto più)

logo.gifAnnecy, anno sesto (per me), anno dell’India, trovare un riassunto in breve per giudicare l’edizione è sempre impossibile, tanto che inizio tutti gli articoli a proposito allo stesso modo. A chi mi fa l’inevitabile domanda “Com’è stato il festival?” io rispondo che è stata un’edizione “media”, e infatti lo è stata. Le cassandre sostengono che “quest’anno il livello era discreto ma mancavano film di grande spessore”, ma io ridacchio sapendo che  è un mantra che viene ripetuto almeno dal 2004, quindi se le sentite non date loro ascolto.  A sinistra, la locandina del festival 2008.  Ci ho messo quasi due giorni per capire che rappresenta un elefante.

Quest’anno ho stabilito il mio record di programmi visti: 29 programmi, il che significa cinque al giorno per sei giorni, con una sola “bigiata” giovedì alle 14 per fare la spesa dei cadeaux. E ciononostante, mi sono sfuggite parecchie cose: mai come nel 2008 ho avuto la sensazione di avere sbagliato la scelta dei programmi, anche se ripensandoci, i programmi davvero poco interessanti che ho visto saranno stati due o tre. Ma cosa c’era, insomma?

Continua, dopo l’anno scorso, l’onda dei lungometraggi: anche quest’anno, l’enormità di 9 in concorso e 12 fuori concorsosita1.jpg. Ovviamente, molti di questi non erano proprio capolavori, alcuni addirittura derisi a scena aperta. In concorso, al di là del vincitore Sita sings the blues, pregevole e molto originale anche se non privo di difetti (qui a destra), vanno segnalati il nuovo Plympton Idiots and angels, più serio del solito ma non completamente riuscito, il giapponese Piano no mori, un classico shoonen, e Die Drei Räuber (I tre briganti), film che purtroppo non ho visto perché di favolette di solito non ho molta voglia, ma che mi hanno segnalato come ricco di stile e con un uso originale della colonna sonora. E’ stato piacevole, al di fuori del concorso, vedermi il nuovo film di Evangelion: You are (not) alone  sul grande schermo, mentre il revival di Hokuto no Ken (Ken il guerriero) è stato molto gettonato ed è tamarro come previsto. Però non quanto il film di Appleseed che non ho visto per la mia innata antipatia per Shirow, ma che dicono essere una chicca di luoghi comuni e mancanza di senso del ridicolo. Cioè, ancora di più che nel manga di Shirow!

Questa quantità di lunghi è andata a scapito dei corti, sia in concorso che in rassegna. Il concorso, addirittura, è stato ridotto a soli quattro programmi invece dei soliti cinque; ciononostante l’impressione è stata che la qualità fosse analoga agli maison1.jpganni precedenti: meno corti selezionati con la stessa qualità significa che il livello globale è sceso. Il vincitore, La maison en petits cubes di Kunio Kato,  che è un bel lavoro, era stato ampiamente pronosticato da tutti, non solo per la sua qualità, ma anche perché ha le caratteristiche tipiche che mettono d’accordo le giurie. Un po’ come è successo più volte per Father and Daughter, senza però la malafede che si sospetta per quest’ultimo lavoro. Gli altri vincitori, invece, sono giunti un po’ tutti inaspettati: una storia alla Poe in CG, La dama en el umbral, una rielaborazione del mito di Frankenstein, Berni’s doll, una storia onirico-sciamanica, Morana. Il premio del pubblico, invece, è andato come previsto ad un corto che ho detestato Skhizein, in quanto corto più “evidente” in un programma più debole degli altri.

myhappyend1.jpgMio cruccio dell’anno è stato che ho visto la miseria di due programmi di film di scuola su cinque, per miei errori di programmazione e anche perché, forse, sono stati messi meno in evidenza del solito. Ho perso il vincitore, Camera obscura, ma ho visto il secondo premio My Happy End (che parla della relazione di un cane con la sua coda, è davvero delizioso e lo premio con l’immagine qui a destra).

Il buon vecchio Panorama è stato rinominato nel più freddo e preciso “cortometraggi fuori concorso”. Me lo sono visto tutto, tranne un singolo corto che ho dovuto abbandonare per andare a fare la popò. Ma intanto era israeliano, e gli israeliani fanno solo corti che parlano di guerra. Era una selezione più che dignitosa, e anche se probabilmente non c’è stato un singolo corto che mi sento di dire: “Per giove pianeta! Questo doveva essere in concorso e potrebbe essere un vincitore!” (come era successo due anni fa per The danish poet o Brothers Bearheart), sono soddisfatto della visione che mi ha permesso di vedere un po’ di roba diversa. Cioè, di avere un panorama.

E ora, un po’ di dolenti note.

Da un anno all’altro mi dimentico sempre di una cosa: che i programmi dedicati alla televisione sono pressoché tutti scadenti. Eppure me lo scordo, e finisco sempre per piazzarne un paio. Qualcosina di decente ho visto, ma sono convinto che avrei potuto far uso migliore del mio tempo. Inoltre, non ho visto nulla dei vincitori: Moot Moot “L’enfer de la mode” per le serie e Engel zu Fuss per gli speciali.

Altra parte poco incisiva dell’edizione 2008 è stata fornita dai programmi speciali. La nazione dell’anno, l’India, non ha più di tanto da offrire, e solo 4 programmi le son stati dedicati. Ne ho visti due: cortometraggi indiani, davvero pessimo, e cortoindia1.gifmetraggi di scuola indiani, che invece è stato abbastanza piacevole, il che fa ben sperare per il futuro. Inoltre, accanto ad alcuni classici come Spike & Mike, Politically Incorrect, Animation Citoyenne e “i cartoni zozzi” (nome amichevole per Spicy Animation), c’è stata una rassegna dedicata ai primordi dell’animazione, con rassegne di roba veeeeeecchie, spesso del primo decennio del XX secolo. Qui accanto, giusto per fare un po’ di colore, un’immagine da un corto di scuola indiano.

presto.jpgPur essendo ben lontani i fasti della prima di Azur et Asmar, o di Cars, o anche di Les triplettes de Belleville, qualche anteprima c’è stata pure quest’anno. Durante l’inaugurazione è stato proiettato Valse avec Bashir, che pare fosse un bel film. Israeliano, indovina un po’, parla di guerra! Ben più notevole è stata la proiezione del nuovo corto Pixar, Presto, che è un dinamicissimo e spassoso omaggio a Tex Avery (a destra).

A margine di tutto questo, una nota amara: la presenza italiana è la minima a memoria d’uomo (cioè, a memoria mia, che sono un uomo). Niente nei corti, un paio di spot, due serie televisive: Sturmtruppen e, preparatevi, Pipù, pupù e Rosmarina, per di più firmata da Enzo D’Alò. Vabbè, intanto abbiam battuto i francesi a calcio…

Infine, qualche considerazione sparsa.
Roba ye-ye:
– La sigla dell’anno era strepitosa, pensata apposta per coinvolgere il pubblico. Normalmente succede che il pubblico stabilisca spontaneamente come reagire di fronte alla sigle (facendo versi, gesti, rumori) intorno al giovedì, mentre quest’anno già al martedì il pubblico era in delirio.
– Ho mangiato due volte la tartiflette, nettare degli dei.
– E’ sempre più facile trovare un caffè decente.
– Sono andato a correre due volte in riva al lago. E’ un bel percorso.
– Abbiamo scoperto che a Courmayeur fanno in generale un’ottima pizza.
– Ospite d’onore e membro della giuria è stato Matt Groening. E’ un panzone!

Roba buh-buh:
– Qualche problema tecnico di troppo nelle proiezioni. La cosa rischia di diventare imperdonabile, se sei costretto a vederti di nuovo quasi 10′ di bambini indiani sfruttati da multinazionali senza scrupoli.
– Mia impressione, o c’era meno gnocca del solito? O magari ci ho fatto l’abitudine?
– Non esistono più kebab da asporto ad Annecy.
– Il wi-fi del Bonlieu (il luogo primario del festival) c’è ma funziona maluccio, ma in compenso in Francia, luogo civile, è semplice trovare locali con connessione a muzzo.
– La maglietta dell’edizione era urenda e per la prima volta non l’ho presa. Però ne ho trovata una di McLaren deliziosa.
– Ho mangiato pochissimi pain-au-chocolat. Beh, infatti per la prima volta non sono ingrassato.
– Ha piovuto parecchio, quasi tutti i giorni. Magari solo un’oretta o due, ma il monsone quotidiano è stato inevitabile.

Next: rassegna dei vincitori, con maggiori dettagli sui premiati.

Per l’amor di Dio, usate le scale!

Milano, 1980 circa

Quand’ero piccolo ogni tanto mi capitava di andare in città, più frequentemente a Milano e Torino (per presenza di parenti vari) che a Genova. In una delle visite nel meneghino capoluogo, fui condotto alla Rinascente, noto grande magazzeno. In quel luogo di meraviglie ci fu un tipico shock da “Ciccio di Nonna Papera va in città” per la presenza di tanta gente, tanta roba, un piano intiero di giocattoli. E soprattutto per gli ascensori.

Quello che infatti più mi colpì fu la presenza di tre ascensori distinti: uno più grande per salire e per scendere, e due più piccoli, uno riservato alla salita e uno alla discesa. Questi ultimi due, per caso, erano fuori servizio. Io allora scossi la testa e pensai: “Ma come si fa a essere così imbecilli da progettare un ascensore che, una volta arrivato in cima o in fondo non serve più a niente e deve essere buttato via? I lombardi sono proprio un popolo inferiore!”.

Ed è da allora che non mi piace Milano.

Astenersi perditempo

Mi è sempre piaciuto il linguaggio degli annunci economici che si trovano sui giornali, un linguaggio affascinante nella sua sintesi e nei codici tipici di ogni settore.

E’ un mondo affascinante e un po’ surreale.
Un mondo in cui tutte le case sono locate in stabili signorili, e in cui la gente compra le case per personalizzarle.
Un mondo in cui ci sono una quantità pazzesca di massaggiatrici. Forse nel mondo degli annunci la gente è stressata e un bel massaggio alle spalle aiuta a sciogliere la tensione.
Un mondo in cui la gente è balbuziente, ma stranamente solo per la lettera “A” e meno di frequente per la”Z”.

Ed è un mondo popolato di una strana razza chiamata perditempo, i quali sono continuamente invitati ad astenersi. Dura la loro vita, costellata di privazioni! Mi immagino il tipico perditempo come un signore coi baffetti, forse addirittura col monocolo, che si alza in tarda mattinata e, sorseggiando un tè in vestaglia, prende Secondamano e con aria diabolica mormora fra sé e sé: “Vediamo un po’ come possiamo perdere tempo oggi…massì, andiamo a vedere questo bilocale in centro comodissimo ideale trasfertisti. Pronto, Immobiliare Panzerotti? Sarei (risatina) interessato all’annuncio su Secondamano”.
Ecco, fare il perditempo sì che è un bel mestiere. Altro che il Siebel Consultant…

(Il Signore dei Pinguini se ne parte per Annecy e non sarà online per una settimana. Al suo ritorno, in compenso, vi propinerà il solito pallosissimo reportage. Nel frattempo, fate i bravi e non sporcate troppo).

Ci vuole la stessa quantità di calore!

Aneddoto fresco fresco, come nei blog veri.

Stamattina, mentre percorrevo Corso Italia a Genova in motoretta, ho affiancato per un breve istante un’automobile ad un semaforo. Il verde è scattato subito, ma dal finestrino aperto di quella macchina ho fatto in tempo a sentire un signore che, con aria a metà tra l’arrabbiato, lo scocciato e il disperato gridava: “Ci vuole la stessa quantità di calore!”. Non ho fatto in tempo a vedere l’interlocutore e sono dovuto andare via, ma sono pressoché certo di avere capito quale fosse il tema del discorso: qual è il momento migliore per mettere il sale nell’acqua per la pasta? All’inizio o quando l’acqua è già bollente?

E’ la stessa cosa. Giuro. Aveva ragione quel tizio, per portare una miscela di acqua e sale a ebollizione “ci vuole la stessa quantità di calore”, sia che metti il sale prima sia che lo metti dopo. Il problema è che, da esperienza, so che è impossibile convincere del contrario chi è convinto che “si fa prima mettendo il sale quando l’acqua bolle già”. Vabbè. D’altronde, essendo la stessa cosa, non ci vedo nulla di male a lasciar fare in quel senso.
Quindi, caro il mio signore, non ti crucciare, e goditi il lungomare al mattino. E’ quasi bello trovare i semafori rossi perché puoi guardare un po’ il mare. Sì, il mare è acqua salata e potresti avere voglia di bollirlo e fare il minestrone come Zio Paperone nella storia del caldo Spray, ma tu non ci pensare. Ecco, magari invece insisti per l’uso del coperchio. Quello invece serve.