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Per i ritardatari
Mi do da fare
Sono alla moda e tuitto
Una sterile invettiva

Soffro di una strana antipatia per le cartoline. Sì, quegli innocui cartoncini illustrati che si usa mandare dagli ameni luoghi di vacanza. Quelle coi panorami al tramonto, quelle con scritto “Tanti cari saluti da Rigatone Sabbiagialla” e la sfilza di firme.

Le cartoline, come oggetto, sono sgradevoli. Non si sa mai cosa fare di esse: dispiace buttarle via, perché in fondo ti sono state inviate da qualche conoscente, amico, parente, quindi finiscono per andare in qualche cassetto ad ammuffire. E per me gli oggetti inutili che non mi sento di buttare sono un problema (le partecipazioni di matrimonio o le bomboniere sono un altro incubo!). Ma non è solo questione di mera utilità: trovo che questi pezzetti di cartoncino illustrati siano un oggetto esteticamente repellente. Di recente è di moda il concetto di “cartolina orrenda”: sul fumetto “Rat-Man” c’è un concorso apposito, ne ho visti altri analoghi altrove e non è anomalo che qualche simpaticone cerchi apposta la cartolina peggiore del lotto, spulciando amorosamente l’albero apposito al di fuori delle cartolerie. È certo una bella impresa: accanto a quelle proprio fetenti, per scelta del soggetto, per realizzazione della foto, per pochezza del grafico, si trovano altre categorie che non sono da meno in quanto a cattivo gusto. Ci son quelle con le tette (“Ehi, guarda! Sono andato in un posto dove ci son le donne nude!“); quelle finto-spiritose (di solito con le vecchiette o gli asini: “Ehi guarda! Sono andato in un posto dove ci son le vecchiette!“. Per fortuna non hanno ancora pensato a quelle con le vecchiette nude, ma è solo questione di tempo); quelle con i messaggi predefiniti (“Manchi solo tu“, “Qui ci si diverte“…) e infine quelle con le foto di qualità. Certo, molte foto sono di per sè splendide, ma (mi si conceda l’astio) l’ambito della cartolina le sminuisce e le impoverisce. Un po’ come leggere un libro sul monitor.

Ma c’è di più: io detesto anche il rito sociale delle cartoline. Non ho mai sopportato l’ansia, appena giunti nel luogo di vacanza, di dover scegliere le cartoline, acquistare i francobolli, compilare le missive sforzandosi di dire qualcosa di originale (e poi alla fine dire le solite quattro cagate), farle firmare a tutti e infine imbucarle. Il tutto il più in fretta possibile, altrimenti torni prima tu della cartolina, e questo sarebbe un’onta insopportabile! E mi sfugge persino il senso di tutto ciò: fin da piccolo l’invio della cartolina mi sapeva di sberleffo, un po’ come dire: “Ah-ah! Io sono in vacanza e tu sei a casa a schiattare di caldo! Ah-ah!“. Si può ribattere che non si tratta di altro che di una piccola dimostrazione di premura, un modo per dire “Ti sto pensando anche se sono lontano“. Ma io sono negativo e misantropo, e penso che un pezzo di carta illustrato e scarabocchiato sia una ben povera manifestazione d’affetto. L’unica eccezione che ho concesso è stata per chi effettivamente ci teneva molto, in sostanza le nonne. Per tutti gli altri, nessuna pietà: se volete sapere dove son stato in vacanza, chiedetemelo.

(Per bilanciare tutto questo odio, dirò che mi piacciono gli gnocchi)