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Nel tragitto che compio quotidianamente in motoretta a Genova per andare al lavoro, mi imbatto a Sturla in un incrocio regolato da un semaforo con un’ostica svolta a sinistra, per andare in via Isonzo (particolare ad uso esclusivo di chi conosce la zona. Uhm, credo nessuno, tra i miei lettori abituali. Particolare inutile, allora) . Il verde del semaforo birichino dura molto poco a fronte ad un rosso lunghissimo, e, essendoci molto traffico in direzione opposta, capita quasi sempre che ci sia qualche rincoglionito che si trova bloccato in mezzo all’incrocio, ostacolando il passaggio durante la fuggevole durata del verde. Io, da bravo motorettista genovese, non ho problemi a sgusciare in mezzo ai detti imbecilli, ma appena passato mi coglie un moto di solidarietà. Mi viene infatti spontaneo mettermi nei panni di coloro che, seduti nei loro ingombranti mezzi a quattro ruote, perdono il momento d’oro del passaggio a causa di quei minchioni, e son costretti ad attendere un turno supplementare. Mentre mi allontano, quindi, mi si stringe sempre il cuore, perché so che se io fossi in quella situazione mi ritroverei a sbavare dalla rabbia, e mi dico regolarmente: “Adesso mi ritroverò a pensare a questi signori imbottigliati per chissà quanto tempo”. Tre secondi dopo penso già ad altro.

Questa assurda introduzione, tediosa per chiunque non debba svoltare a sinistra a Sturla, conduce al tema del flusso di coscienza. Pur non avendo la minima intenzione di imitare Joyce come tanti scrittorucoli, è un concetto che mi ha sempre affascinato. In particolare mi son reso conto che, quando lascio fluire i miei pensieri in libertà, non riesco mai a soffermarmi su un singolo particolare a lungo, anche se mi ero precedentemente imposto di non deviare da esso, o ero convinto che non l’avrei fatto. Inevitabilmente, per quanto forte sia il mio convincimento, dopo meno di un minuto il mio cervello viene stimolato da qualcos’altro. Mi sento un po’ Homer Simpson… A mia parziale discolpa posso dire che si tratta di esperimenti in qualche modo artificiali: quando sono dedicato a un compito preciso so focalizzare, e similmente è probabile che se entro domani dovessi saldare un debito agli usurai e non ne fossi in grado, non riuscirei a divagare.

Riassumendo, quindi, le banche ti prestano un ombrello quando c’è il sole e lo vogliono indietro quando piove. Uh, non stavo parlando di questo?