Come da tradizione, il post di Natale è brutto. E quest’anno, a grande richiesta, ecco gli auguri spiritosi per Natale, alla faccia dei concorrenti dei maialini.
Sezione 1: Benigni, ovvero auguri in rima
– Tanti auguri, forti e duri
– Buon Natale a chi non mi vuol male
– Buon Natale e un anno fico pel parente e per l’amico
– Buon Natale, Gesù è nato! Auguri all’amministratore delegato.
Sezione 2: Pieraccioni, ovvero auguri pseudospiritosi
– Buon Natale e buon anno…per l’anno prossimo (variante: per l’anno scorso)
– Buon Santo Stefano! Beh, il buon Natale te lo augurano già tutti…
– Non mangiare troppo panettone, altrimenti poi ti scambiano per le renne di Babbo Natale! Grosso? No, con le corna!
Sezione 3: Boldi, ovvero auguri pecorecci
– Sull’albero ci sono le palle…ecco dove son finite le tue! (mamma mia, questa tocca il fondo!)
– Meno male che a capodanno ci sei tu, così possiamo insaporire le lenticche col finocchio!
– Mi son scritto gli auguri sul pisello e ho scritto “Tanti auguri carissimi di un felice Natale, un gioioso Santo Stefano e un sereno 2008”. Se ci provi tu, al massimo puoi scrivere “Aug.”
– Merdy Christmas!
Invito i lettori ad ampliare questa breve lista aggiungendo auguri ancora più imbecilli e di cattivo gusto (eventualmente inaugurando altre categorie). E son pronto a scommettere che, per il Natale 2008, ne vedremo qualcuno girare nelle catene di sms.
E’ online il nuovo sito di ProGlo Edizioni, dal quale potete comprare tutti i volumi che volete. Cioè, non proprio tutti i libri del mondo, ma quelli di ProGlo sì. E dovete pagare, eh. Paypal, e la miseria di due euri di spese di spedizione, ché se su eBay trovate uno che vi fa pagare solo due euri, festeggiate con una salva di cannone.
Quindi, come vivere senza Longshot Comics, “A” come Ignoranza, Akiko v.1, V for Fumetto, Writing for Comics e Historia de la Historieta? Sono il regalo di Natale ideale per grandi e piccini! E anche per i medi! Forza!
La seguente “barzelletta” mi è stata raccontata dalla mia compagna di classe Giulia sulla strada per andare in montagna a Limone durante uno degli ultimi anni delle elementari. Chi vuole avere un quadro dell’epoca sappia che nel locale bar dell’albergo montanaro troneggiava Space Invaders che però era già considerato un po’ obsoleto. Ma bando alle cose serie, ecco il momento di umorismo:
C’è un topo che ha fame e che gira per una cantina. Ad un certo punto trova una bottiglia di vino e se la beve tutta e si ubriaca e inizia a fare “Hic! Hic!”. Poi trova un tamburo, se lo mangia e allora fa “Hic-bum! Hic-bum!”. Infine trova un disco, mangia anche quello e a questo punto fa “Hic-bum-chachacha! Hic-bum-chachacha!”
Fine. Si noterà come si tratti di una barzelletta per modo di dire, in quanto priva della tradizionale struttura di introduzione- sviluppo- svolta semantica e anche di una vera e propria battuta. Si tratta piuttosto di una storiella buffa, tanto che ho il sospetto che Giulia (o chi aveva raccontato la storia a lei, o qualcuno negli anelli precedenti della catena) avesse adattato un raccontino, un cartone animato o un fumetto alla forma di barzelletta.
Ciononostante, ci sono due elementi di interesse che si ricollegano in qualche modo al mondo delle barzellette: il primo, il fatto che il topo emetta il suono “hic”. Nelle barzellette, gli ubriachi fanno “hic”, o vedono doppio, o parlano in falsetto strascicando le parole. Il secondo è il fatto che un disco suoni “chachacha”. Nel mondo desueto delle barzellette, i dischi sono di “musica leggera” (quelli di musica seria non sono argomento su cui scherzare, che diamine!) , però non esageriamo! Niente rock e/o roll da queste parti.
Ora che sapete questo, la barzelletta fa molto più ridere.
Burrito al burro di burro: piatto inventato dall’Associazione Italiana Filomessicana (AIFM) in collaborazione con l’Associazione Messicana Filoitaliana (AMFI), esso consiste in un tipico burrito, però condito con burro di asino (burro in spagnolo, appunto). Quando si resero conto del potenziale commerciale del piatto, le due associazioni iniziarono a litigare per vili questioni economiche, e la prelibatezza non è mai stata resa disponibile. Nel frattempo, però, J.K. Rowling ha introdotto la “burrobirra” nella sua saga di Harry Potter, e ha inviato lettere di diffida alle due società perché, secondo lei, il nome del Burrito al burro di burro è troppo simile alla sua creazione. Avendo a disposizione più avvocati e più picchiatori dei membri complessivi della AIFM e dell’AFMI messi assieme, ha vinto lei il contenzioso. Ora la AIFM e la AMFI, di nuovo riconciliate, si mangiano le mani e pensano di far uscire il “burrito alla manteca d’asino” che però non ha lo stesso appeal. Il burro d’asino, comunque, è pessimo.
L’ora dello sputacchio: espressione colloquiale per indicare le ore cinque e cinquantacinque in Afghanistan. Infatti in lingua afghana tale ora del giorno si esprime come “ffpfai fef ffpfaifaf-ffpfai”, e inevitabilmente la pronuncia di questa frase reca prevedibili effetti collaterali. Le 5:55 sono l’ora del rito del tè a Khabul, quindi è molto comune vedersi a quell’ora: senza questa parafrasi, i biscottini da té afghani sarebbero ricoperti di saliva.
Chimicone di Manduria: vino rosso immesso sul mercato nel 2003 con il nome di “Primiticcio di Manduria”, nel tentativo di sfruttare il nome del conterraneo Primitivo. Ben presto divenne noto come “Chimicone” per le sue peculiari caratteristiche organolettiche che non ricordano nulla di esistente in natura. Tale prodotto divenne assai popolare fra i giovani per il suo basso costo e per l’alto contenuto di agenti chimici, presenti in quantità tale da provocare trip alluginogeni, soprattutto se si accompagna la bevanda con tarallucci al finocchetto. Nel settembre 2004 il Chimicone fu ritirato dai supermercati, in seguito all’intossicazione di un gruppo di ragazzi di Andria che avevano festeggiato un compleanno brindando con abbondanti dosi del vino incriminato e che si erano buttati dalla finestra per sfuggire ai “koala neri della Morte”. Nel febbraio 2005 il Chimicone fu reintrodotto sul mercato come tinta industriale.
Nella prima metà degli anni ’80, prima che arrivassero le cingomme (cincingomme, cicche, cicles, gomma americana. Che ognuno scelga la sua localizzazione preferita) senza zucchero, spopolavano le Brooklyn, la gomma del ponte. I markettari della Perfetti, dopo essersi spremuti per trovare un nome che ricordasse il “mito americano”, tirarono fuori dal cilindro un grandioso concorso a premi che prometteva: “Diecimila biciclette! Mille motorini! Due viaggi in America!”. Io (e non solo io, come poi scoprii) mi chiedevo: “Ma che me ne faccio di diecimila biciclette? Me ne basta una, al massimo due, così una la tengo a Sassello!” e non compravo le Brooklyn. In realtà non le avrei comprate lo stesso, perché da piccolo non avevo mai un soldo in tasca e soprattutto perché ho sempre detestato cinciungare le cincingomme, le sputavo appena perdevano il sapore. Non parliamo poi delle Big Babol, non riuscivo a fare le bolle e quindi mi infuriavo e sbavavo dalla rabbia. Certo che fa proprio schifo vedere uno che fa le bolle coi cicles, eh (ok, anche uno che sbava). Quelle col grasso di topo, poi!
– E allora?
– Allora cosa? Se la categoria si chiama “Aneddoti inconcludenti”, che inconcludenti siano!
Saltuariamente esce qualche libro che, per una combinazione di passaparola, di moda, di spinte mediatiche e di altre circostanze oltremodo casuali, diventa un enorme best seller. In qualche modo diventa il libro che tutti leggono, o, se preferite, uno dei dieci libri che compaiono nelle librerie delle persone che non leggono abitualmente, accanto alle prime uscite delle enciclopedie dei quotidiani, quelle date in omaggio. Io, come è noto, sono uno snob, ma essendo uno snob di livello 2 mi concedo spesso il piacere perverso di leggere questi libri. Ovviamente, quasi tutti fanno cagare. Non ho ancora razionalizzato in pieno perché mi conceda di leggere Dan Brown invece di Tolstoj: mi dico che è giusto sapere di cosa parla il libro che è sulla bocca di tutti e poter quindi giudicarlo con cognizione di causa. Troppo facile sputare su Dan Brown senza aver letto il suo libro! In realtà applico questa considerazione solo per i libri, non per i film né per i programmi televisivi. Un po’ per i fumetti, ma leggo molto di quello che esce e quindi ho una visibilità del mercato molto più ampia. Insomma, boh.
E così, durante gli anni (confessione!) mi sono letto:
Il Codice da Vinci di Dan Brown: brutto, ma non proprio brutto brutto brutto…però enormemente stupido. Tutto appare raffazzonato, improbabile, ficcato lì giusto per “fare figo”. Probabilmente è il libro il cui successo più mi stupisce, perché i temi e le situazioni non sono altro che quello che Martin Mystére propone da venticinque anni, con una classe e un amore per la cultura che Brown si sogna. Chissà quanto si è incazzato Castelli.
Io uccido di Giorgio Faletti: “Non ci crederete, ma quest’uomo è oggi il miglior scrittore italiano” recita la quarta di copertina. In effetti non ci credo, neppure dopo averlo letto. Intendiamoci: il thriller di Faletti è un libro “di genere” come se ne vedono tanti negli stati Uniti ad opera dei vari Follett, Grisham, Ludlum e che in Italia difettano. È un libro che ha qualche merito: l’ambientazione originale è forse ciò che rimane più impresso, ma anche svelare il colpevole a tre quarti del libro per poi passare ad un lungo anticlimax è piuttosto anomalo ma non errato, nell’economia del libro. Inoltre nel complesso scorre bene, ma il problema sta nella quantità soverchiante di luoghi comuni da thriller e banalità varie. Non ho concesso una seconda chance a Faletti.
Il diario di Bridget Jones di Helen Fielding: il prototipo della chick-lit, è probabilmente in senso oggettivo il miglior libro del lotto. Pur in un contesto che traveste da realtà quella che in fondo non è altro che una favola, è impossibile non affezionarsi all’imperfettissima Bridget e alle sue manie, pur odiandola per le stesse.
Tre metri sopra il cielo di Federico Moccia: il peggiore del lotto. Non esite futuro per un Paese i cui giovani amano personaggi come Bebi e Step. O tempora! O mores! E poi, al di là della questione “morale”, è scritto proprio male.
Harry Potter di J.K. Rowling: ho letto sei capitoli su sette della saga dell’antipaticissimo maghetto (non ho una tale scimmia da leggermelo in inglese!), e devo dire che nel complesso si tratta di libri divertenti. Nulla di terribilmente innovativo, tanto che anche per Harry Potter ho un po’ di stupore per il suo successo planetario, ma sono letture piacevoli e innocue. Se ai miei nipoti/eventuali figli interesserà ancora tra dieci-quindici anni, non avrò nulla in contrario.
Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro: davvero pessimo anche questo. Forse lo lessi ancora al liceo, in questo caso più per curiosità che per scelta programmatica come in seguito. Ne ricordo pochissimo, ma la sensazione era di bere acqua calda con chili di zucchero. Il nulla più banale reso stucchevole. Sì, in effetti ci vuole talento.
E poi ci sono alcuni libri che sono al di sopra delle mie possibilità di sopportazione: i libri dei comici ad esempio, ma soprattutto la Fallaci. Non ho avuto il coraggio di sciropparmi gli scaracchi di odio di una donna malata. Pazienza. Prossimo obiettivo: Melissa P!