Sono un semi-fiero possessore di una Ford Ka nera, acquistata nel gennaio 2001. Semi-fiero perché ne amol’estetica, le dimensioni, il colore, anche l’affidabilità tutto sommato, però consuma una quantità paurosa di benzina (siamo sui 10 km/l!), si fulminano le lampadine degli anabbaglianti con una frequenza fastidiosissima, e, ovviamente, ha la Botta della Ka.
Tutti i fini osservatori sanno cos’è la Botta della Ka. La maggior parte delle Ka (anzi, quasi tutte) presenta lo stesso infortunio: un urto in corrispondenza del lato anteriore del parafango della ruota posteriore destra. La mia non fa eccezione: mi è successo nell’estate 2001 (macchina ancora quasi nuova, quindi!), mentre entravo in un garage, e sono stato troppo pigro e troppo tirchio per farla mettere a posto da allora.
La mia domanda è: c’è qualche errore di progettazione per la Ka perché un incidente simile sia così comune, o c’è una comune incapacità di entrare nei garage da parte dei possessori di Kakavolo?
Alla faccia di chi mi dice che ho una memoria elefantiaca, deve esserci qualcosa che ho rimosso dal profondo. I supermercati mi inquietano sempre parecchio, e quando sono affollati divento assai spaventato. Addirittura in qualche caso ho sfiorato un attacco di panico e son dovuto uscire in tutta fretta. Eppure, da quel che ricordo, non mi è mai successo niente di male in un supermarket, cioè, nulla di peggio di comprare per errore dei fazzoletti di carta profumati alla vaniglia (non ho il coraggio di buttarli via, ma mi danno la nausea ogni volta che mi soffio il naso). E nemmeno riesco a immaginare nulla di grave che potrebbe accadere in un luogo simile, a parte magari essere assediato dagli zombi.
‘Nsomma, cosa diamine ho coi supermercati?
(Ok, non mi aspetto una risposta sensata. Ma se volete fare delle ipotesi, o se qualcuno ricorda qualche evento che io ho eliminato dalla memoria…)
Quasi per caso, l’altro giorno, ho notato come sia facile fare una pessima batuta giocando sulle coppie casino/casinò e fiches/fiche. Dai, ve la devo spiegare? Nel casinò (dove giochi d’azzardo) ci sono le fiches (i gettoni), nel casino (il luogo di malaffare) ci sono le fiche (gli organi sessuali femminili). Sì, fa pietà, è degna di un Sergio Paoletti per adulti, ma non è questo il punto. E’ possibile che in tutte le produzioni di film scollacciati, in tutte le pessime barzellette a sfondo sessuale, in tutte le gag di comici scadenti nessuno abbia mai sfruttato questa battuta? Dovrei brevettarla e venderla a Massimo Boldi?
Una delle interiezioni più diffuse nei vecchi fumetti italioti per bambini stile Trottolino, Braccio di Ferro, Geppo (sì, quelli che regalo a piene mani ai miei migliori commentatori) era “Ehp”, che indicava sorpresa e/o meraviglia. Era una parola che io, mentalmente, leggevo “Ecp”, probabilmente con lo stesso meccanismo di chi pronuncia “iamaca” la parola “Yamaha“.
Il significato della parola si deduceva puramente dall’abitudine e dal contesto, perché nessun essere vivente ha mai pronunciato suoni che assomiglino vagamente a “Ehp”, tranne Peter McBride di Venice (Wyoming) che ha inventato un linguaggio tutto suo in cui “Ehp” significa “Colui che attraversa il mare per scappare al controllore dell’autobus”. E’ una situazione che, in effetti, è capitata a Peter e potrebbe essere capitata più volte a Braccio di Ferro, ma non a Geppo né tantomento a Tarzanetto!
‘Nsomma, da dove hanno tirato fuori questa parola gli sceneggiatori di quei fumetti?
Non so se nel 2008 alle elementari facciano ancora usare le penne stilografiche. Ai miei tempi erano obbligatorie, ma per fortuna, per correggere gli errori esistevano le cosiddette cancelline. Una cancellina era una specie di penna, solitamente di plastica gialla, utilizzabile da entrambe le estremità: il lato bianco permetteva di cancellare utilizzando, a naso, una specie di alcool, mentre il lato blu permetteva di riscrivere sulla superficie cancellata (il normale inchiostro, dopo l’applicazione del lato bianco, sbavava). La maestra era furiosamente contraria alle cancelline, probabilmente in parte per una repulsione per le novità e in parte perché, giustamente, la loro presenza riduceva la soglia di attenzione (“tanto poi correggo…”); per non farcele usare, in pieno spirito mostra e dimostra, ci mostrò un quaderno vecchio di qualche anno su cui era stata usata una cancellina per dimostrare come il tempo fosse impietoso con questi strumenti del demonio. In effetti è vero, dopo qualche anno (i miei quaderni delle elementari lo confermano) l’inchiostro cancellato in qualche modo torna visibile, ma cosa volete che freghi a dei bambini di sette anni di quel che succederà anni dopo?
Le cancelline esistevano di due marche: le Superpirate e le Supersheriff. Sic. Si può sapere che diavolo di logica c’era dietro questi nomi? D’accordo, pirati e sceriffi, miti dell’infanzia. Trascuriamo il fatto che negli anni ’80 erano miti già obsoleti…ma ve lo vedete Long John Silver o John Wayne che correggono un testocon una cancellina? “Corpo di mille barili/pistole, cuore non si scrive con la q! Per fortuna posso correggere!”
(Nota: Google pare ignorare le parole Superpirate e Supersheriff. Era ora che qualcuno riportasse alla luce questi informazioni troppo a lungo trascurate!!)
Nella prima lezione di latino al liceo, nel settembre 1988, la professoressa si sentì in dovere di dirci:
A cosa serve studiare il latino? Serve a sapere meglio l’italiano. Inoltre è una lingua molto difficile, quindi studiarla rende l’apprendimento delle altre lingue molto più semplice.
Almeno non ha detto che “il latino apre la mente”. Innanzitutto, chiarisco un punto chiave: una cosa di cui sono profondamente convinto è che non sia necessario che ciò che si studia a scuola debba avere un utilizzo pratico, cioè “servire” a qualcosa. Penso che qualunque tipo di studio non puramente mnemonico renda le persone migliori fornendo abitudine a pensare e sviluppando un atteggiamento più critico nei confronti del mondo. Però, in questo caso, è la prof ad avere iniziato, e mi sento in dovere di ribattere. Vent’anni dopo.
L’enfasi che viene posta nell’insegnamento del latino nei licei italiani mi risulta un mistero. Non sono sufficientemente preparato in linguistica per capire se è vero che la conoscenza del latino migliori la conoscenza dell’italiano moderno; a naso direi di no, sono lingue troppo differenti e con strutture profondamente diverse. E’ invece vero che la cultura latina fa parte delle radici di quella italiana e conoscere gli autori latini è indispensabile per capire il pensiero dei maggiori scrittori italiani. Ma lo stesso vale per la Bibbia, e nessuno si sogna di far imparare l’aramaico per conoscere meglio Dante! Si possono studiare benissimo Virgilio e Seneca senza leggerli in lingua originale.
L’altra argomentazione mi pare ancora più debole. Il latino non è difficile di per sé, sono difficili gli autori che si studiano perché scrivono in modo ricercato. Sono convinto che studiare una lingua moderna complessa e aliena come può essere un idioma cinese o l’hindi o anche l’arabo “apra la mente” assai di più, e ha risvolti pratici che, nonostante quello che ho detto, male certamente non fanno.
Insomma, perché si studia il latino? Semplicemente perché Gentile era un vecchio barbogio?